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December 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Juno, a metà della sua avventura, ci regala nuove foto delle tempeste di Giove

 

 

 

 

“Juno è arrivata a metà del suo cammino, un ottovolante da brivido che ogni 53 giorni la porta a sfiorare il tetto del pianeta più grande e massiccio del Sistema solare. E a ogni tornata, quando sfreccia sopra le nubi di Giove, ci invia le immagini della sua atmosfera vorticosa, acquerelli sfumati di tempeste e gas rimescolati. Occhi giganti di cicloni, alcuni dei quali sono talmente estesi che potrebbero contenere la Terra intera.

Il 21 dicembre la sonda della Nasa compirà la sua sedicesima ‘picchiata’, da polo a polo, passando ad appena 5.053 chilometri dalla sommità dell’atmosfera gioviana a oltre 200.000 chilometri all’ora, 55 al secondo (a quella velocità impiegherebbe meno di dieci secondi a volare da Torino a Roma). Questo sorvolo segnerà dunque il giro di boa, siamo a metà strada nel percorso di raccolta dati, iniziato nel 2016 e che si concluderà nel 2021: “Con il sedicesimo flyby scientifico avremo la copertura globale di Giove” sottolinea Jack Connerney, Juno deputy principal investigator della Space Research Corporation di Annapolis, Maryland.

Con le sue foto, Juno, sta mettendo assieme tutti i pezzi del mappamondo. Immagini che, assieme agli strumenti scientifici a bordo, ci spiegano come funziona la complessa macchina di gas di cui è formato, analizzando il suo campo magnetico e i fenomeni energetici che lo ‘accendono’, come le aurore.

Proprio come accadeva per Cassini, quelle che ci spedisce Juno sono cartoline mozzafiato da un luogo mai esplorato prima. Ha osservato da vicino i vortici che animano la sua superficie, soprattutto ai poli, e la sua gigantesca e secolare tempesta, la macchia rossa che si sta rimpicciolendo ma per noi che lo osserviamo da Terra rimane sempre il “segno particolare” che caratterizza Giove. La “Junocam” si è rivelata essere, secondo gli scienziati, non solo una fotocamera ma anche uno strumento scientifico prezioso. La Nasa ha messo a disposizione tutte le foto scattate da Juno sul suo sito internet, che tutti gli utenti possono scaricare e rielaborare in postproduzione.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quanto dura il primo raffreddore dei bimbi? Dipende dai microbi del naso

 

 

 

 

“UN NASO che cola. Una brutta tosse, o magari un po’ di mal di gola. Niente di cui preoccuparsi: tutti i bambini tendono a soffrire di qualche malanno stagionale nei primi mesi di vita. Ma se spesso bastano un paio di settimane per tornare pienamente in forma, altre volte i sintomi si protraggono ben più a lungo. E in questi casi può aumentare il rischio che il piccolo sviluppi l’asma o altri disturbi respiratori cronici nel corso della vita. Da cosa dipende la durata dei primi raffreddori? Non è ancora chiaro, ma un nuovo studio svizzero pubblicato sulla rivista Erj Open sembra aver aver trovato un indizio: la severità delle prime infezioni respiratorie infatti sembra dipendere, almeno in parte, da quali microbi abitano nel naso dei bambini.

• LA FLORA NON È SOLO QUELLA INTESTINALE

Anche se parliamo di batteri, in questo caso non c’è nulla da temere. In ogni parte del nostro organismo abita infatti un’enorme quantità di microorganismi, che nella maggior parte dei casi svolgono un ruolo benefico per l’organismo. “È noto a tutti che moltissimi tipi diversi di batteri abitano il nostro intestino”, spiega Roland Neumann, ricercatore dell’Ospedale pediatrico universitario di Basilea che ha collaborato al nuovo studio. “Ma anche il tratto respiratorio ospita un’enorme varietà di batteri, e stiamo iniziando solamente ora a scoprire in che modo l’insieme di questi microorganismi, che prende il nome di microbiota, influenzi la nostra salute respiratoria”.

• LA RICERCA

Nel nuovo studio, i ricercatori svizzeri hanno deciso di verificare se il microbiota del sistema respiratorio influenzi l’esito di raffreddori e altre infezioni respiratorie comuni nel primo anno di vita. Per scoprirlo hanno reclutato 167 neonati che non avevano ancora mai contratto infezioni respiratorie. Ai loro genitori è stato chiesto di contattare i ricercatori ai primi sintomi di raffreddore, tosse o altri disturbi otorinolaringoiatrici, in modo da poter prelevare un campione di muco con cui esaminare la flora batterica presente nel loro naso, e in seguito monitorare l’andamento dei sintomi. A tre settimane dall’inizio della malattia i ricercatori hanno effettuato un nuovo tampone nasale, per osservare in che modo fosse cambiato il microbiota dei piccoli, e hanno quindi svolto le loro analisi.

• I RISULTATI

La maggior parte dei bambini coinvolti nello studio è guarita dai sintomi dell’infezione nell’arco di due settimane. Un numero più ristretto è rimasto invece malato più a lungo, oltre la terza settimana, e comparando il microbiota nasale dei due gruppi di bambini sono emerse importanti differenze. Una maggiore varietà di specie all’interno del microbiota, con una minor presenza di batteri delle famiglie Moraxellaceae e Streptococcaceae, è infatti risultata associata a una guarigione più veloce. Il perché – ammettono gli autori dello studio – non è ancora chiaro, ma anche così si tratta di una scoperta importante, che sottolinea la necessità di approfondire la nostra conoscenza del rapporto tra microbiota e salute.

“Esiste una chiara associazione tra sintomi respiratori nel primo anno di vita e il rischio di sviluppare l’asma in età scolastica”, sottolinea il presidente della European Respiratory Society Tobias Welte. “Non sappiamo ancora spiegare a pieno questo collegamento, ma i batteri che abitano nelle vie respiratorie superiori giocano molto probabilmente un ruolo importante. Per questo motivo, è fondamentale studiare più a fondo quale relazione esita tra questi batteri, lo sviluppo di infezioni respiratorie e il loro effetto a lungo termine sulla salute dei nostri polmoni”.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intelligenza artificiale, metà degli italiani è indifferente 

 

 

 

 

“«Dove possiamo trovare l’intelligenza artificiale? Forse nel nostro inconscio». Le idee degli italiani sull’intelligenza artificiale non sembrano molto chiare. Ce ne siamo accorti quando, microfono alla mano, siamo andati fra le strade di Milano per fare qualche domanda su questo tema. Sguardi perplessi, risposte stravaganti, teorie non proprio scientifiche. Qualcuno che aveva capito di cosa parlavamo lo abbiamo trovato, per poi scoprire che era un ingegnere informatico o comunque un esperto del settore. Eppure di questo argomento si parla molto in rete, tanto che l’Osservatorio Italiano sull’intelligenza artificiale ha deciso di pubblicare una ricerca in collaborazione con l’istituto Her – Human Ecosystems Relazion partendo proprio dal web.

Facebook, Instagram e Twitter. Le informazioni sui discorsi a proposito di intelligenza artificiale arrivano soprattutto da queste tre fonti. Migliaia di conversazioni, commenti e post sono stati raccolti e analizzati con le tecniche della sentiment analysis. Questa procedura prevede un’analisi delle parole per estrarre diversi tipi di informazioni. Si posso vedere le espressioni più utilizzate, che relazioni ci sono fra queste e guardando la loro disposizione si può anche capire da che parte tende un commento: se è positivo, negativo o neutro. I risultati che si possono trovare sul sito dell’Osservatorio Italiano sull’intelligenza artificiale riguardano un periodo di 30 giorni: dal 17 maggio al 17 giugno 2018.” Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attacco hacker alla catena di hotel Marriott, colpiti 500 milioni di clienti

 

 

 

 

“I dati di cinquecento milioni di persone potrebbero essere stati compromessi ed esposti agli occhi di un hacker che è riuscito a infiltrarsi nel database del network di alberghi americani Starwood, acquisito dalla Marriott International, la più grande catena di hotel del mondo, nel 2016 per 13,6 miliardi di dollari. All’origine dell’attacco una falla del sistema. Secondo un’indagine interna, questo accesso era aperto sin dal 2014. 

Tra i dati che potrebbero essere finiti nella mani di un criminale informatico appartenenti ad almeno 327 milioni di clienti, ci sono i loro nomi associati a numeri di telefono dei clienti, numero di passaporto e anche numeri della carta di credito. Le informazioni sui pagamenti però sono criptati, e quindi al sicuro se la chiave per decifrarli non è stata scoperta. Poi data di nascita, email, genere, data di arrivo e di partenza. A dichiaralo è la stessa Marriott Internazionale, che aggiunge di aver scoperto la falla — e alcuni accessi non autorizzati al database — solo a settembre di quest’anno. Per facilitare le comunicazioni, la società ha creato un call center dedicato ai clienti che vogliono avere più informazioni sull’attacco. I quali verranno informati dell’accaduto via mail.” Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

November 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il database dei dispositivi killer 

 

 

Chi ha una protesi impiantata nel proprio corpo può qui verificare quanto è sicura 

 

 

“Nel mondo ci sono milioni di protesi difettose impiantate nel corpo dei pazienti come spieghiamo nell’inchiesta implant files . Spesso le persone interessate non ne sono informate, perché non è detto che le aziende produttrici, gli enti governativi e gli ospedali abbiano segnalato il problema al paziente.

L’Espresso e l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) per la prima volta danno la possibilità a tutti i cittadini di verificare se il proprio dispositivo è sicuro o se invece ha avuto segnalazioni negative in passato. Accedere all’International Medical Device Database, realizzato dal consorzio giornalistico sulla base di 60mila avvisi di sicurezza registrati dalle autorità in oltre dieci nazioni, è semplice: basta inserire il nome del proprio dispositivo nella griglia qui sotto, per verificare se in passato è stato segnalato un problema su quello specifico apparecchio sanitario (medical device). Il consorzio Icij e l’Espresso continueranno ad aggiornare e ampliare questa banca dati globale nelle prossime settimane, in base alle nuove segnalazioni ricevute.”

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gb, allarme microchip sottopelle: “Rischio controllo su lavoratori”

 

 

 

 

“ALLARME in Gran Bretagna per l’uso dei microchip sui lavoratori. A quanto pare la società BioTeq, che si occupa appunto di questo tipo di impianti per organizzazioni ma anche per privati, ne ha già realizzati oltre 150 nel Paese. Sia per singoli individui che per dipendenti di piccole società. Impensierendo non poco i sindacati. Fra l’altro, il gruppo dell’Hampshire ne ha spediti anche in Spagna, Francia, Germania, Giappone e Cina.

 

I piccoli chip, piazzati sottopelle fra il pollice e l’indice, sono simili a quelli che si utilizzano per gli animali da compagnia. Consentono per esempio alle persone di sbloccare la porta di casa e accendere l’auto semplicemente avvicinando la mano nonché di memorizzare una certa mole di dati. Anche un’altra società, la svedese Biohax, se ne occupa. E così molte altre nel mondo. Secondo il Sunday Telegraph anche la società scandinava starebbe trattando con diverse compagnie legali e finanziarie britanniche per programmare l’installazione di questi chip, grandi come un chicco di riso, nei loro dipendenti. Fra queste c’è anche una società molto nota con migliaia di impiegati.

 

Non solo i sindacati dei lavoratori. Anche le associazioni di categoria si oppongono al progetto. La Cbi, Confederation of British Industry che rappresenta 190mila aziende britanniche, si è detta preoccupata: “Le società dovrebbero concentrarsi sulle priorità più immediate e focalizzare sul coinvolgimento degli impiegati” piuttosto che monitorarli – anche se in tutti i casi le ragioni scomodate per gli impianti sono legate alla sicurezza – con questi strumenti di tracciamento.

 

Il Trades Union Congress, la confederazione che riunisce 58 sindacati in rappresentanza di quasi 7 milioni di lavoratori, teme che i dipendenti siano obbligati ad accettare gli impianti: “I lavoratori sono preoccupati che alcuni dipendenti usino la tecnologia per controllare e gestire, violando il diritto alla riservatezza” ha spiegato il segretario generale Frances O’Gradysaid. Che ha aggiunto come i microchip “darebbero ai capi ancora più poteri e controllo sui lavoratori. Ci sono ovvi rischi: i datori di lavoro non dovrebbero ignorarli e spingere gli staff a microchipparsi”. Molti grossi datori, come le società di consulenza Kpmg, Ernst & Young e PwC, hanno negato di voler spingere i propri dipendenti a simili pratiche.”

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Arthur Miller: Writer», Rebecca Miller racconta suo padre

 

 

 

 

“Un padre importante, e il punto di vista di una figlia. Arthur Miller era già da molto tempo un gigante del teatro quando nacque sua figlia Rebecca, che oggi ha 56 anni ed è una regista di successo. Sposò sua madre, la fotografa austriaca Inge Morath, nel ’62, l’anno in cui morì Marilyn Monroe, che era stata la sua seconda moglie. Lunedì prossimo Sky Arte trasmette il documentario della Hbo realizzato da Rebecca: «Arthur Miller: Writer »(visibile poi anche in on demand). 

Com’è nato il filmato?

«Mi sono resa conto che la sua immagine pubblica era del tutto diversa dall’uomo che conoscevo io. Ero l’unica persona che poteva raccontare chi era davvero mio padre, scomparso nel 2005. Ho cominciato a raccogliere foto e immagini e a girare a mia volta filmati e interviste con lui nell’arco di 25 anni. Racconto anche di mamma, che alla fine della guerra, a 17 anni, dovette lasciare Berlino per raggiungere a piedi Salisburgo. Tutto materiale rimasto in archivio per molto tempo. È il momento di mostrarlo». 

Suo padre e Marilyn.

«Si conobbero sul set di L’affascinante bugiardo. La racconta come una donna di una sincerità assoluta, priva di ogni malizia; diceva che era la persona più repressa mai conosciuta, era stata una bambina maltrattata, abbandonata, ignorata. Per Marilyn, negli occhi di mio padre c’era il meglio di lei, e per questo era la sua unica speranza. Papà fece il possibile per scacciare i suoi demoni. Era coraggiosa e fragile».

«Gli spostati» fu un set difficile?

«Marilyn stava male, era insicura, pensava di non essere all’altezza della sua parte. Sul set si passava giornate intere senza fare nulla, aspettandola; lei prendeva alcol e pillole di tutti i tipi. Fu sospeso per consentirle di riprendersi. Fu un bel film, ma non andò come speravano. Lei tornò in California per un film che non riuscì a terminare». 

Parlate anche delle vostre radici familiari?

«Sì, lui racconta di suo padre, mio nonno, che a 7 anni dalla Polonia raggiunse i genitori emigrati a New York imbarcandosi da solo, con una targhetta sul cappotto come carta d’identità. Vivevano in otto in due stanze. Non imparò mai a scrivere e andò subito a lavorare. Ma nel 1921 fondò una società manifatturiera, divennero benestanti, fino al crollo di Wall Street del ’29 che li travolse».

Nei lavori teatrali di suo padre si intravedono figure familiari?

«Beh, il protagonista di Morte di un commesso viaggiatore era ispirato a un suo zio mezzo pazzo con una sua dimensione artistica».

Suo padre fu processato.

«Negli anni ’50 negli Usa con McCarthy c’era quello che papà definiva una forma di fascismo popolare. Erano ossessionati, volevano confessioni pubbliche. La Commissione per attività antiamericane lo multò e condannò a due anni di carcere, che gli vennero condonati».

I suoi ebbero un figlio down, suo fratello.

«Daniel. I medici dissero che sarebbe stato meglio in un istituto, e così avvenne. Papà imparò nel tempo a instaurare un rapporto con lui, ma non l’ha mai nominato nella sua autobiografia. Gli chiesi io di parlarmi di Daniel, ma rimandai, presa dal matrimonio con Daniel Day-Lewis, dai figli, dai film. Poi mio padre morì: non saprò mai cosa avrebbe detto di mio fratello».

Perché il teatro e non la letteratura?

«Diceva che il teatro da sempre assolve un impatto di civiltà sull’uomo, è una tribuna da cui ci si rivolge in modo semplice, diretto, tangibile, e che l’opera migliore è quella che ti crea imbarazzo».

Suo padre per lei.

«Si confidava, era preoccupato di non riuscire più a scrivere. Ma era divertente, spiritoso. Se fossi stata maschio sarebbe stata più dura, si sarebbe innescata una lotta automatica. Diceva che i genitori sono figure mitologiche. Il Padre è Zeus, colui che lancia i fulmini, ti uccide o ti porta in alto nella gloria. L’America gli voltò le spalle, lo riteneva superato, a volte non apprezziamo ciò che abbiamo e vogliamo punire le nostre radici, anche il teatro perse prestigio e a lui sembrò di parlare a vuoto, i giovani seguivano linee diverse nelle idee e nei sentimenti». Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Asma, non sempre i bambini devono rinunciare al cane

 

 

 

 

 

“I BAMBINI con l’asma forse non dovranno più rinunciare ad avere un amico a quattro zampe. A dare nuove speranze ai piccoli asmatici è uno studiocondotto negli Stati Uniti dal Nationwide Children’s Hospital che ha analizzato i vari tipi di esposizione ambientale, come il pelo di cani o gatti e il fumo passivo, per capire se hanno un ruolo nel controllo dell’asma nei bambini che sono trattati secondo le linee guida americane. La buona notizia è che i ricercatori hanno concluso che – se si seguono correttamente le indicazioni mediche – questi fattori ambientali non hanno nessun peso.

• LA RICERCA SUI BAMBINI

Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista ufficiale dei pneumologi americani Chest, ha coinvolto 395 bambini e ragazzi di età compresa tra i 2 e i 17 anni con una diagnosi di asma non controllato che sono stati seguiti presso un centro pediatrico per l’asma e curati secondo le linee guida. Ad ogni visita (3-6 mesi), le famiglie hanno compilato un questionario indicando le cure eseguite durante gli attacchi d’asma, i sintomi rilevati e anche i risultati dei vari test di controllo. I ricercatori hanno poi messo a confronto i risultati dei bambini esposti a fumo passivo e animali con quelli nei quali non erano presenti questi fattori.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’olio extravergine di oliva previene i tumori dell’intestino

 

 

 

 

 

“La SCOPERTA è di quelle destinate a far discutere gli scienziati di tutto il mondo: il consumo quotidiano di olio extravergine di oliva – made in Italy, soprattutto – aiuta a prevenire e combattere i tumori dell’intestino. A dimostrarlo è uno studio finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e condotto dall’equipe di ricercatori che fa capo al professor Antonio Moschetta, 45 anni, ordinario di medicina interna all’università Aldo Moro di Bari e titolare di una ricerca sul metabolismo dei tumori della stessa onlus.

Cinque anni di lavoro nei laboratori del policlinico di Bari che hanno coinvolto anche uno scienziato americano, tre colleghi di Tolosa (Francia) e un altro gruppo di Cambridge (Inghilterra). Tutti concentrati su una molecola contenuta nell’olio extravergine di oliva: l’acido oleico. Non una novità assoluta per i camici bianchi. Ma i suoi effetti sui tumori del colon non erano mai stati indagati fino in fondo. Non così.

Quanto basta per far dire a Moschetta che “il dato registrato è senza precedenti”. E alla rivista scientifica internazionale Gastroenterology – un riferimento tra gli addetti ai lavori di tutto il mondo – per pubblicare lo studio, che uscirà sul numero di novembre. La scintilla è un’intuizione dello scienziato barese, poi condivisa dal collega d’Oltralpe Simon Ducheix. “Ci siamo chiesti perché l’acido oleico contenuto nell’olio extravergine di oliva italiano sia prodotto anche dal nostro organismo, grazie – spiega Moschetta – a un enzima che si chiama Scd1”.

In altri termini: “Perché madre natura ci ha dato la possibilità di sintetizzare l’acido oleico? vuol dire che è una molecola fondamentale?”. Sì. E la risposta è arrivata quando nei modelli sperimentali i ricercatori hanno ‘spento’ quell’enzima e bandito la somministrazione di acido oleico attraverso la dieta. Risultato: un’infiammazione dei tessuti, prima, e l’insorgenza di tumori spontanei dell’intestino, poi.  “Abbiamo dimostrato che la natura ci dà la possibilità di sintetizzare l’acido oleico per proteggerci dal cancro”, commenta Moschetta. “Perché crea una barriera che blocca l’infiammazione delle cellule intestinali e previene il tumore”. Da qui a suggerire il consumo di olio extravergine di oliva nella popolazione generale il passo è breve, per lo scienziato barese. Ancora di più in caso di pazienti con una predisposizione ereditaria al tumore del colon, o per quelli con morbo di Crohn o colite ulcerosa.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

October 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rinviato il voto sulla direttiva europea

 

 

 

 

 

“Da giorni è guerra — virtuale — sulla direttiva che mira a riformare il copyright online. Oggi era previsto il voto, in seduta plenaria, all’Europarlamento. Ma l’avvio dei negoziati è stato rinviato a settembre. Troppe, forse, le critiche e le polemiche attorno a questo testo. Una atmosfera commentata anche dal presidente del Parlamento, Antonio Tajani. Che pochi minuti prima di mezzogiorno — orario in cui era previsto l’inizio dei lavori — ha scritto su Twitter: «Il Parlamento europeo deciderà liberamente la sua posizione in merito alla legge europea sul copyright con l’obiettivo di proteggere l’interesse di tutti i cittadini. Non bisogna interferire con il lavoro del Parlamento e non si devono diffondere informazioni false e demagogiche». Testo rinviato a nuova revisione dunque, per ora, dagli europarlamentari: 318 i voti contrari, 278 quelli favorevoli, 31 gli astenuti. La direttiva è la conclusione di un progetto europeo per riformare (e proteggere) il diritto d’autore online. E mira soprattutto a imporre a grandi piattaforme — da Google a Facebook — che vivono (e guadagnano) grazie a contenuti creativi creati da altri, di rispettarne il copyright. Cambiare la situazione attuale, dunque, che vede questi operatori appropriarsi di articoli giornalistici, video musicali e opere letterarie senza corrispondere agli autori nulla. La direttiva rientra nella strategia del Mercato Unico Digitale voluto dalla Commissione Europea nel 2015 e ha già avuto il via libera della commissione giuridica del Parlamento europeo e ora si appresta ad essere votato in seduta plenaria. Il testo ha suscitato un aspro dibattito (qui il commento del vicedirettore del Corriere Daniele Manca). C’è chi lo ritiene un indispensabile baluardo dell’editoria, messa in ginocchio dallo strapotere dei colossi del web e chi – come il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio – teme che possa minare la libertà d’espressione. Quest’ultima posizione ha innescato una serie di contromisure volte a modificare gli aspetti più ambigui della riforma – anche se alcuni ipotizzano che dietro ci siano i lobbisti della Silicon Valley. Lo scorso aprile 147 organizzazioni hanno firmato un appello per chiedere agli ambasciatori degli Stati membri dell’Unione di non affrettare il dibattito e di non dare alla presidenza bulgara il mandato per negoziare con il Parlamento. E qualche giorno prima del voto Wikipedia Italia ha deciso di oscurare tutte le pagine come protesta — è tornata a funzionare dopo il rinvio del voto — sostenendo che questa riforma metta in pericolo l’esistenza stessa dell’enciclopedia. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che la riforma – avanzata nel 2016 dall’allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo»

Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Greenpeace: “C’è microplastica nel sale da cucina”

 

 

 

 

 

“Ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da diverse nazioni inclusa l’Italia, contenevano frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, meglio noti come microplastiche. Sono i risultati di una recente ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology nata dalla collaborazione tra Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud. Dall’indagine, che ha preso in esame campioni di sale marino, di miniera e di lago, risulta che 36 campioni erano contaminati da microplastica costituita da Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET), ovvero le tipologie di plastica più comunemente utilizzate per produrre imballaggi usa e getta.

“Numerosi studi hanno già dimostrato la presenza di plastica in pesci e frutti di mare, acqua di rubinetto e adesso anche nel sale da cucina. Questa ricerca conferma la gravità dell’inquinamento da plastica e come per noi sia ormai impossibile sfuggire a tale contaminazione”, spiega Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “È necessario fermare l’inquinamento alla radice ed è fondamentale che le grandi aziende facciano la loro parte riducendo drasticamente l’impiego della plastica usa e getta per confezionare i loro prodotti”.

Questa ricerca, la prima condotta su vasta scala e tale da permettere un’analisi comparata della presenza di microplastiche in campioni di sale da cucina provenienti da numerose aree geografiche, ha consentito anche di correlare i livelli di inquinamento riscontrati nel sale con l’immissione e il rilascio di plastica nell’ambiente. Infatti, di tutti i campioni analizzati quelli provenienti dall’Asia hanno registrato i livelli medi di contaminazione più elevati con picchi fino a 13 mila microplastiche in un campione proveniente dall’Indonesia che, secondo studi recenti, è seconda per l’apporto globale di plastica nei mari.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cercasi forti fumatori per un test: dieta, sport e farmaci contro i tumori

 

 

 

“Il tumore più letale in Italia

Ogni anno in Italia quasi 34mila persone muoiono a causa di un tumore ai polmoni, che è il più letale fra tutti i tipi di cancro, anche perché in 8 pazienti su 10 viene diagnosticato tardi, quando ormai sono già presenti metastasi e le possibilità di cura sono limitate. Con 41.500 nuovi casi diagnosticati nel 2018, si piazza però anche al terzo posto nella classifica dei più diffusi, per questo è importante trovare strategie efficaci di prevenzione e di diagnosi precoce. Sul primo fronte, è cruciale non fumare o smettere il prima possibile visto che circa 8 pazienti su 10 sono fumatori abituali o ex tabagisti. Per quanto invece riguarda i controlli il programma SMILE prevede una volta all’anno l’esecuzione della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) spirale toracica a basse dosi di esposizione.

Il programma SMILE

Lo studio SMILE, punta ad abbattere i valori della proteina c-reattiva (PCR), un importante marcatore dell’infiammazione cronica associata a un alto rischio di mortalità per il tumore al polmone.«Abbiamo appena pubblicato insieme all’Istituto Mario Negri di Milano uno studio che dimostra una riduzione del 50 per cento dei livelli di PCR a distanza di otto anni dalla cessazione del fumo – spiega Ugo Pastorino, direttore della Chirurgia Toracica all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Sono ottimi risultati, ma a lungo termine. Per questo abbiamo deciso di “alzare l’asticella” e mettere a punto una serie di interventi da adottare in contemporanea alla cessazione dal fumo, per ridurre il prima possibile i valori della PCR». I partecipanti verranno suddivisi in quattro gruppi: uno riceverà il “pacchetto” completo che prevede la cessazione dal fumo con il supporto di una cura farmacologica a base di citisina, la somministrazione quotidiana di cardioaspirina, dieta e attività fisica. Un gruppo, invece, seguirà il percorso di smoking cessation con la prescrizione di citisina; il terzo riceverà cardioaspirina, dieta e attività fisica. Il quarto gruppo, infine, riceverà dei suggerimenti per un corretto stile di vita in base alle linee guida internazionali. 

I controlli con TAC spirale

Il Programma SMILE prevede una volta all’anno l’esecuzione della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) spirale toracica a basse dosi di esposizione. «La decisione di inserire questo esame nel programma una volta l’anno è coerente con i risultati degli ultimi studi, MILD condotto all’INT e NELSON sviluppato da ricercatori olandesi – sottolinea Giovanni Apolone, direttore scientifico INT -. Entrambi hanno dimostrato l’efficacia della TAC nella diagnosi precoce del carcinoma polmonare. Sono risultati importanti, a riprova del fatto che è tempo di avviare sul territorio nazionale programmi di screening rivolti ai forti fumatori over 50, la fascia più a rischio di carcinoma polmonare». L’apparecchiatura TAC spirale toracica è di ultima generazione: «Questa nuova apparecchiatura si pone al vertice della tecnologia ora disponibile – chiarisce Alfonso Vittorio Marchianò, direttore del Dipartimento Diagnostica per Immagini e Radioterapia dell’Istituto – Tra i vantaggi attesi, ci sono una straordinaria rapidità di esecuzione e, aspetto ancora più importante, l’esposizione, per la persona che si sottopone all’esame, a una dose minima di radiazioni, senza compromissione della qualità delle immagini». Nel corso dello studio, viene inoltre eseguita periodicamente l’analisi per la valutazione dei valori della PCR nel sangue e, annualmente, il test miRNA: sono piccolissime molecole molto specifiche che vengono rilasciate dall’organo aggredito dalla malattia e dal sistema immunitario e che permettono una diagnosi estremamente precoce, come stanno dimostrando gli studi in corso all’INT.” Corriere Della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Influenza, costa quanto una piccola manovra economica: 10 miliardi di euro ogni anno

 

 

 

 

“L’influenza stagionale insieme alle sindromi simil-influenzali sono ormai prossime e si riaccendono i sistemi di monitoraggio per la sorveglianza epidemiologica delle sindromi influenzali. Ma oggi, per la prima volta, sgli esperti hanno calcolato il peso economico della malattia infettiva sulle tasche delle famiglie italiane. A fornire i primi dati economici nel nostro Paese un’indagine telefonica, condotta su oltre mille italiani e presentata in questi giorni a Venezia in occasione del XIX Congresso nazionale della Società italiana di pneumologia (Sip).

FAMIGLIE, QUANTO COSTA L’INFLUENZA

Stando ai dati dello studio ogni anno l’influenza e le sindromi simil-influenzali costano alle famiglie italiane mezzo punto di Pil. Che significa – parlando chiaramente in soldoni – oltre 8,6 miliardi di euro. Soldi che vengono utilizzati specialmente per acquistare i farmaci sintomatici, come antinfiammatori, mucolitici, antitosse e aerosol: per questi ogni famiglia spende circa 27 euro, a fronte dei 250 euro totali. Ma il grosso del carico economico sulle spalle degli italiani sono le assenze lavorative dovute all’influenza, una spesa silenziosa “perché poco percepita dai cittadini, ma che senz’altro esiste, e ha un impatto molto importante sulla società”, commenta Stefano Nardini, presidente Sip.

VACCINAZIONI, SI SPENDE ANCORA TROPPO POCO

Praticamente nullo è invece il costo relativo alle vaccinazioni antinfluenzali – le famiglie spendono circa 2,40 euro per i vaccini – che rappresentano invece un’arma efficace per evitare molti casi di infezioni respiratorie causate proprio dall’influenza: “Nonostante il 70% degli intervistati consideri essenziale la vaccinazione – commenta Roberto Dal Negro, responsabile del  Centro nazionale studi di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia respiratoria (Cesfar) di Verona, che ha condotto la ricerca in collaborazione con Research & Clinical Governance di Verona e AdRes Health Economics and Outcome Research di Torino – solo il 14% si vaccina ogni anno e circa il 60% non lo ha mai fatto”.

Una discrepanza fra quanto gli italiani sarebbero disposti a spendere per prevenire l’influenza – nello studio si parla di circa 20 euro – rispetto a quanto in realtà spendono – 2,40 euro – che “fa riflettere sul fatto che ci sia ancora una scarsa conoscenza del problema da parte dell’opinione pubblica”, continua Dal Negro. Ma non è soltanto questione di prevenzione, fa notare Nardini: “Si tende ancora troppo spesso anche a banalizzare quelle che sono le complicanze respiratorie causate dall’influenza. Prima fra tutte le polmoniti post-influenzali, che vanno invece riconosciute e trattate tempestivamente. Perché non dobbiamo dimenticare che l’infezione virale, quale è l’influenza, specialmente in chi ha già patologie croniche, può aprire le porte alle infezioni batteriche, aggravando di fatto la prognosi del paziente”.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Telefonia, la battaglia tra gli operatori: offerti più giga di Internet, sacrificati gli sms

 

 

 

“Ormai lo sappiamo, Iliad prima e ho. dopo hanno dato una scossa al mercato della telefonia mobile in Italia. “È una battaglia all’ultima promozione quella in corso tra i due nuovi provider virtuali, che a loro volta non smettono di dare filo da torcere a tutti gli altri operatori, costretti a continue revisioni delle proprie offerte”, dicono gli esperti di SosTariffe nell’ultima indagine sulle attuali tariffe ricaricabili di tutti gli operatori tradizionali e virtuali. Secondo il portale, si va verso un lento assestamento dle mercato che ha comunque lasciato modificazioni importanti, dovute al fatto che “gli altri” operatori “sono stati costretti a un drastico calo di prezzi, e a proporre pacchetti più generosi di GB, SMS e minuti”. Con l’indagine da luglio a settembre si vede che i “canoni mensili restano grossomodo stabili, ma si registrano lievi rincari (dello 0,2%). La contesa tra i provider si combatte soprattutto sul fronte della connettività, e i GB inclusi nei pacchetti sono lievitati (circa il 31,2%). Appena cresciuti anche i minuti inclusi nei pacchetti (3,5%). Per quanto riguarda gli sms, gli operatori virtuali continuano a inserirli nei propri pacchetti, mentre i provider tradizionali sembrano intenzionati a mandarli ‘in pensione’ (30,4% in meno)”.

Durante il periodo estivo gli operatori classici che hanno la rete di proprietà hanno cercato di allettare i clienti con più minuti (circa il 4,1% in più) ma soprattutto molto più internet (18,1%, di traffico dati in più), mentre gli si punta meno sugli sms tradizionali (30,4% in meno). “Rispetto al mese di luglio, infatti, le principali tariffe ricaricabili TIM, Vodafone, Wind, H3G e Iliad (quelle cioè che includono telefonate, internet e sms gratis, comprese le win back) sono, nel complesso, lievemente più convenienti, con prezzi appena più bassi (circa il 3,3% in meno) ma il merito è soprattutto delle tariffe winback. Il costo medio mensile è calato dai 9,11 euro in media di luglio a 8,8 euro di oggi. Si tratta di tariffe che consentono di parlare a lungo (i minuti compresi sono cresciuti da 2232 a 2323 in media) e navigare senza preoccupazioni, con il 18,1% di GB in più, lievitati da una media di 19 mensili ai 23 attuali. Gli sms offerti, a luglio 2018 erano ancora 1190, mentre ora sono scesi a 828 al mese”. Proprio Iliad, per altro, ha appena lanciato una nuova offerta che scende a 4,99 euro, ma solo per traffico voce e sms illimitati (include anche una piccola quantità di dati con 40MB di traffico dati in Italia e 40MB dedicati in Europa).” 

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

September 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Antitrust contro i supermercati sul reso del pane invenduto: “Vessati i piccoli fornai”

 

 

 

 

“MILANO – L’Antitrust accende un faro sui grandi supermercati – Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan e Carrefour – per verificare se abbiano adottato un comportamento sleale e “vessatorio” nei confronti dei fornitori di pane fresco, obbligati di fatto a ritirare l’invenduto e a scalarne il prezzo sull’acquisto successivo. Sono scattate anche ispezioni in alcune catene da parte dei funzionari dell’Authority con le Fiamme Gialle.

In una nota, il Garante della Concorrenza e del Mercato fa sapere di aver aperto sei istruttorie su segnalazione della principale associazione nazionale di panificatori, Assipan-Confcommercio Imprese per l’Italia. “La condotta contestata consiste nell’imposizione, ai propri fornitori di pane fresco, dell’obbligo di ritirare e smaltire a proprie spese l’intero quantitativo di prodotto invenduto a fine giornata. La differenza di valore tra il pane consegnato ad inizio giornata e quello reso a fine giornata viene poi riaccreditata al compratore della GDO sugli acquisti successivi”.

La pratica sarebbe resa possibile dalla sproprozione contrattuale tra gli attori in campo: le grandi catene della Gdo e le piccole imprese artigiane che panificano. “In tale contesto, l’obbligo di ritiro dell’invenduto rappresenta una condizione contrattuale posta ad esclusivo vantaggio delle catene della grande distribuzione e determina un indebito trasferimento sul contraente più debole del rischio commerciale di non riuscire a vendere il quantitativo di pane ordinato e acquistato”.

Secondo quanto raccolto dall’Antitrust, infatti, “la prassi descritta costringe i panificatori a farsi carico, oltre che del ritiro della merce, anche del suo smaltimento quale “rifiuto” alimentare, in quanto l’interpretazione comunemente attribuita alla normativa vigente impedisce qualsiasi riutilizzo del pane invenduto a fini commerciali e persino la sua donazione a fini umanitari con un elevatissimo spreco di prodotto”. Da parte loro, i produttori non possono che lamentare “non soltanto il carattere “vessatorio” dell’obbligo imposto ai panificatori, ma anche le ampie e negative ripercussioni che esso produce sotto il profilo economico e ambientale”. Spetterà ora all’Authority verificare se siano lamentele fondate.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premium Chess Mobile, così si imparano i segreti degli scacchi con un’app

 

 

 

“L’unica piattaforma di gioco online certificata dalla Federazione Scacchistica Italiana (Fsi) e dalla World Chess Federation (Fide), con un sistema anti frode che permette di scoprire chi «bara» con un computer, è Premium Chess Mobile. L’app, gratuita per iOS e Android, è stata sviluppata in Italia, da una startup di Vicenza. Con Premium Chess Mobile si possono fare partite con giocatori provenienti da ogni parte del mondo. E allo stesso tempo si possono imparare le prime mosse di re, regine, cavalli e torri grazie ai consigli del Grande Maestro Roberto Mogranzini, uno dei soci dell’azienda che ha lanciato l’app. Obiettivo principale del progetto è diffondere il gioco da tavolo tra i giovani, nelle scuole. Come succede già in altri Paesi dell’Ue.” Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legge Copyright, l’Europarlamento rinvia il voto sulla riforma a settembre

 

 

 

 

 

“Da giorni è guerra — virtuale — sulla direttiva che mira a riformare il copyright online. Oggi era previsto il voto, in seduta plenaria, all’Europarlamento. Ma l’avvio dei negoziati è stato rinviato a settembre. Troppe, forse, le critiche e le polemiche attorno a questo testo. Una atmosfera commentata anche dal presidente del Parlamento, Antonio Tajani. Che pochi minuti prima di mezzogiorno — orario in cui era previsto l’inizio dei lavori — ha scritto su Twitter: «Il Parlamento europeo deciderà liberamente la sua posizione in merito alla legge europea sul copyright con l’obiettivo di proteggere l’interesse di tutti i cittadini. Non bisogna interferire con il lavoro del Parlamento e non si devono diffondere informazioni false e demagogiche». Testo rinviato a nuova revisione dunque, per ora, dagli europarlamentari: 318 i voti contrari, 278 quelli favorevoli, 31 gli astenuti. La direttiva è la conclusione di un progetto europeo per riformare (e proteggere) il diritto d’autore online. E mira soprattutto a imporre a grandi piattaforme — da Google a Facebook — che vivono (e guadagnano) grazie a contenuti creativi creati da altri, di rispettarne il copyright. Cambiare la situazione attuale, dunque, che vede questi operatori appropriarsi di articoli giornalistici, video musicali e opere letterarie senza corrispondere agli autori nulla. La direttiva rientra nella strategia del Mercato Unico Digitale voluto dalla Commissione Europea nel 2015 e ha già avuto il via libera della commissione giuridica del Parlamento europeo e ora si appresta ad essere votato in seduta plenaria. Il testo ha suscitato un aspro dibattito (qui il commento del vicedirettore del Corriere Daniele Manca). C’è chi lo ritiene un indispensabile baluardo dell’editoria, messa in ginocchio dallo strapotere dei colossi del web e chi – come il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio – teme che possa minare la libertà d’espressione. Quest’ultima posizione ha innescato una serie di contromisure volte a modificare gli aspetti più ambigui della riforma – anche se alcuni ipotizzano che dietro ci siano i lobbisti della Silicon Valley. Lo scorso aprile 147 organizzazioni hanno firmato un appello per chiedere agli ambasciatori degli Stati membri dell’Unione di non affrettare il dibattito e di non dare alla presidenza bulgara il mandato per negoziare con il Parlamento. E qualche giorno prima del voto Wikipedia Italia ha deciso di oscurare tutte le pagine come protesta — è tornata a funzionare dopo il rinvio del voto — sostenendo che questa riforma metta in pericolo l’esistenza stessa dell’enciclopedia. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che la riforma – avanzata nel 2016 dall’allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo». Corriere della Sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

August 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Morbillo: record di casi nel 2018 in Europa. Italia tra i Paesi peggiori

 

 

 

 

“Oltre 41mila adulti e bambini nell’area che fa capo all’Oms europea: tanti i soggetti colpiti dal morbillo nei primi sei mesi del 2018, più di tutti quelli registrati in un intero anno in questo decennio. Lo afferma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui l’Italia è uno dei sette Paesi su 53 in cui si sono superati i mille casi, mentre l’Ucraina è al top con 23mila.

Fino a questo momento, sottolinea il bollettino della European Regional Verification Commission for Measles and Rubella Elimination pubblicato oggi, il numero massimo di casi in un anno tra il 2010 e il 2017 è stato 23927, toccato lo scorso anno, mentre nel 2016 furono 5273. Sette paesi hanno superato i mille casi, Italia, Francia, Serbia, Grecia, Russia, Georgia e ovviamente Ucraina, e in tutti e sette ci sono stati dei morti, in totale 34 dal’inizio dell’anno. “Dopo il minimo negativo toccato nel 2016 abbiamo visto un drammatico aumento nelle infezioni e nei focolai – afferma  Zsuzsanna Jakab, direttore regionale per l’Europa -. Chiediamo a tutti i paesi di implementare immediatamente misure ampie e appropriate al contesto per diminuire la diffusione di questa malattia. Una buona salute per tutti parte dalla vaccinazione, e finché non elimineremo il virus non riusciremo a tener fede agli impegni per gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Secondo il documento 43 stati membri su 53 hanno interrotto la trasmissione endemica della malattia, mentre 42 lo hanno fatto per la rosolia. I rappresentanti di tutti i paesi, ricorda il comunicato dell’Oms, si vedranno a Roma dal 17 al 20 settembre per verificare i progressi verso l’eliminazione.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Usa, Monsanto condannata a risarcire 289 milioni di dollari a malato di cancro

 

 

 

 

“La Monsanto, multinazionale di biotecnologie agrarie, condannata a pagare un risarcimento milionario a favore di uomo che ha denunciato l’azienda affermando che un suo prodotto usato come erbicida ha contribuito a farlo ammalare di un tumore rivelatosi terminale.

Lo ha stabilito un giudice di San Francisco ordinando il pagamento di 289 milioni di dollari in quanto l’azienda non avrebbe adeguatamente avvertito sui rischi nell’utilizzo del prodotto contenente glifosato, una sostanza già al centro di polemiche e dispute legali in quanto considerata nociva. La Monsanto respinge le accuse e ha già annunciato che farà appello.

Dewayne Johnson, custode di siti scolastici nella zona di San Francisco, aveva utilizzato l’erbicida della Monsanto nel suo lavoro e aveva sviluppato un’eruzione cutanea nel 2014, all’età di 42 anni, con la successiva diagnosi di un linfoma non-Hodgkin. I legali della multinazionale sostengono da parte loro che quel tipo di linfoma impiega anni per manifestarsi e che quindi Johnson deve esserne stato affetto da prima del suo incarico nel distretto scolastico.

Si tratta della prima denuncia che arriva in tribunale in cui si sostiene il legame fra il glisofato e una diagnosi di cancro. Fatto che la Monsanto contesta: “La giuria ha sbagliato”, ha reagito a caldo il vicepresidente dell’azienda. Esistono tuttavia fino a 5000 denunce negli Usa simili a quella al centro del caso di Dewayne Johnson che potrebbe quindi costituire un precedente importante con possibili centinaia nuove denunce contro la Monsanto, di base a St. Louis e recentemente acquistata dal conglomerato tedesco Bayer.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ernest Hemingway, l’amore per Parigi in un racconto inedito a 57 anni dalla morte

 

 

La rivista letteraria americana 

“The Strand Magazine” pubblica un racconto inedito di Ernest Hemingway, a 57 anni dalla morte dello scrittore. “A Room on the Garden Side”, questo il titolo della short story, è ambientata nell’Hotel Ritz della Parigi liberata dai nazisti. Protagonista è Robert, un giovane soldato americano chiamato “Papa”, lo stesso soprannome di Hemingway. Torna dunque in questo scritto l’amore dello scrittore per la capitale francese, così come il tema della guerra già sperimentato in capolavori come “Addio alle armi” e “Per chi suona la campana”. Il racconto inedito era stato scritto nel 1956 e faceva parte di un gruppo di cinque scritti annunciati dallo stesso Hemingway al suo editor.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel Mediterraneo i coralli killer delle meduse

 

 

 

“COLLABORANO tra loro come fanno i lupi in branco, aspettano che la preda ignara si avvicini e la catturano colpendola con una piccola freccia e con del veleno per poi sbranarla. Sono i coralli Astroides calycularis, specie tipica del mar Mediterraneo e – come ha scoperto un gruppo di ricercatori italiani – primi killer delle meduse.

Lo studio, apparso sulla rivista Ecology, documenta anche il primo caso di cooperazione nella caccia mai scoperto prima tra i coralli e ha coinvolto i biologi marini della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e le università di Bologna e Edimburgo.

Il fenomeno è stato notato per la prima volta a Pantelleria dove i ricercatori hanno osservato le colonie di piccoli polipi arancioni formate dal corallo – noto anche come Madrepora arancione – nutrirsi anche di meduse e cooperare per riuscire a catturarle: il primo polipo attacca la preda che si avvicina, spinta dalle correnti, alla parete di coralli e altri arrivano in aiuto bloccandola. Per questa loro caratteristica le colonie sono state ribattezzate dagli studiosi ‘muri della morte’.

La scoperta è arrivata quasi per caso. I ricercatori della Stazione zoologica e del Cnr, Luigi Musco e Tomas Vega Fernandez, si erano immersi a Pantelleria per studiare questi coralli che, come le barriere coralline di tutto il mondo, sono minacciati dai cambiamenti climatici. Una volta immersi “ci siamo resi conto di essere circondati da decine di meduse – racconta Musco – e abbiamo notato alcuni esemplari di Astroides intenti a ingoiare qualcosa di piuttosto grosso rispetto alle loro dimensioni”.

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

July 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Usa e getta? No, grazie!” Così possiamo salvare i mari

 

 

 

 

“UN elefante, il David di Michelangelo e un camion dei pompieri. Insieme centrano poco, ma non se si pensa al concetto di grandezza: per questo Legambiente ha scelto questi simboli per la sua nuova campagna, che lancia oggi, contro gli “usa e getta” e l’inquinamento da plastica nei mari. Se il nostro desiderio fosse un nano da giardino ci prenderemmo la famosa statua di Firenze? E se volessimo un cucciolo accudiremmo un pachiderma? Si chiede l’associazione ambientalista. E allora perché per un sorso d’acqua, un boccone di cibo e altre minuscole necessità utilizziamo per pochi minuti grandi monouso di plastica che restano nell’ambiente per secoli?

I DATI DEL MARINE LITTER 

A partire da questa provocazione Legambiente ricorda che da inizio anno, durante la pulizia delle spiagge effettuata dai suoi volontari, l’80% dei rifiuti raccolti dell’associazione in 500 lidi era composto da plastica. Tra i rifiuti rimossi 180mila tappi e bottiglie, 96mila cotton fioc e circa 52mila tra piatti, bicchieri, posate  e cannucce. Di tutti quelli recuperati un rifiuto su tre è stato creato per essere gettato immediatamente dopo il suo utilizzo. In alcuni luoghi d’Italia, come le Tremiti da maggio e da agosto a Lampedusa o Pollica, sindaci e amministrazioni hanno deciso di dire basta ai monouso. L’Europa è sulla stessa strada, ma dal 2019: Legambiente sostiene che non si può aspettare ancora e il Governo deve intervenire subito per porre fine allo smodato consumo di “usa e getta” che, se mal gestiti, sono devastanti per i nostri mari quando si trasformano in microplastiche. 

L’associazione, snocciolando i dati del rapporto “Seas at risk”, ricorda come in Europa ogni anno si consumino 46 miliardi di bottiglie di plastica con cui si potrebbero riempire 28mila piscine olimpioniche. In Italia sono 8 miliardi. Ma ci sono anche 230 stoviglie di plastica consumate all’anno per abitante, 16 miliardi di bicchierini di caffè utilizzati annualmente nel Vecchio continente  o 2 miliardi e mezzo di imballaggi take away, oltre a 36 miliardi di cannucce. Tutte cifre che chiedono una immediata inversione di rotta.

·LA CAMPAGNA 

Per questo, con il lancio della campagna “Usa e getta? No, grazie”, Legambiente intende dar vita a una serie di iniziative per sensibilizzare cittadini ed esecutivo sulle azioni da intraprendere subito a salvaguardia dei mari. A Ostia, allo stabilimento Mediterranea, un “trash mob” sulla spiaggia accoglierà l’arrivo di Goletta Verde, la barca ambientalista che naviga facendo campagne informative sull’ambiente. Per l’occasione saranno sfoderati enormi piatti, posate, bottiglie e cannucce proprio per dare l’idea dell'”esagerato” e la grandezza del problema. “Usiamo l’usa e getta per pochi minuti ma le sue microplastiche possono inquinare per sempre – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Nessuno utilizzerebbe oggetti “esagerati” rispetto alla funzione di cui ha bisogno: il David di Michelangelo come nano da giardino, un’autobotte per innaffiare i fiori o un elefante come cucciolo da compagnia. Eppure è proprio quello che accade con piatti, posate, bottiglie monouso. Prodotti usati pochissimo ma che hanno un elevatissimo costo per l’ambiente, una sproporzione difficilmente percepibile nella vita di tutti i giorni”. 

·”IL GOVERNO AGISCA”  

“Per questo, per contrastare il marine litter, chiediamo al Governo italiano di approvare subito quanto previsto dalla proposta di direttiva Ue mettendo al bando le stoviglie di plastica non compostabile, compresi i bicchieri che non leggiamo nel testo in discussione in queste settimane a Bruxelles – aggiunge  Zampetti – I bandi già deliberati in autonomia da alcuni comuni dimostrano che vietare le stoviglie di plastica è infatti possibile da subito. Per le buste di plastica chiediamo incisività nel contrasto dell’illegalità ancora troppo presente soprattutto nel commercio al dettaglio, ma anche il via libera all’uso delle retine riutilizzabili per frutta e verdura nei supermercati”.

A muoversi devono dunque essere cittadini, governo ma anche l’industria: tra le richieste dell’associazione c’è infatti anche la necessità di indirizzare il mondo delle imprese investendo sull’innovazione dei materiali e l’eco-design, rendere riciclabili il 100% degli imballaggi, migliorare la gestione dei rifiuti delle amministrazioni locali, adeguare gli impianti del riciclo e seguire la strada dell’economia circolare. “In Europa la domanda di plastica riciclata rappresenta infatti solo il 6% di quella prodotta” ricordano ancora da Legambiente.Tutti insieme si può ancora trovare una soluzione efficace in difesa dei mari. Ma bisogna impegnarsi per farlo: Legambiente suggerisce di cominciare fin da subito a utilizzare bottiglie di vetro (e ne ha realizzata una speciale per l’occasione) e seguire tutte le direttive oggi raggruppate nel nuovo sito dell’iniziativa.” La Repubblica 

René Magritte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il progetto SMAC: controlli gratuiti per scoprire lo stato di salute di polmoni e cuore

 

 

 

 

 

“Il tumore al polmone è al primo posto nella poco ambita classifica italiana di più letale tipo di cancro (nel 2017 ha causato oltre 33mila decessi) e al terzo in quella del più diffuso (41.800 i nuovi casi diagnosticati lo scorso anno). Sarebbe una malattia rara se non si fumasse: circa l’85% delle persone colpite da questa patologia è o è stato un fumatore, ciononostante quasi 12 milioni di italiani (specie donne ) cioè il 20% della popolazione, continuano ad accendersi una sigaretta ogni giorno. E, nella grande maggioranza dei casi, viene ancora oggi scoperto quando ormai è in stadio avanzato, con metastasi diffuse ad altri organi. Per questo risulta così difficile da curare e resta, nonostante i progressi fatti nelle terapie, un big killer: soltanto il 16 per cento dei pazienti, infatti, è ancora vivo cinque anni dopo la scoperta della malattia. Per questo da anni i ricercatori di tutto il mondo stanno studiando un modo per scoprirlo nelle sue fasi iniziali, quando le probabilità di sconfiggerlo sarebbero migliori. Nasce così anche SMAC, un progetto di screening gratuito per forti fumatori ed ex fumatori messo a punto da Giulia Veronesi, responsabile della Sezione di Chirurgia Robotica di Humanitas, che punta a diagnosticare sempre più tempestivamente malattie sia polmonari sia cardiovascolari e a fare prevenzione di patologie correlate al fumo. Cos’è il progetto SMAC

SMAC (Smokers health Multiple Actions, acronimo inglese che sta per azioni multiple per la salute dei fumatori) è un progetto che prevede una TAC toracica a basso dosaggio di radiazioni, associata a un’intensa attività antifumo e si rivolge a persone ad alto rischio per esposizione al tabacco. «I primi partecipanti sono in programma per settembre di quest’anno – spiega Giulia Veronesi -. Attraverso lo screening riusciamo a trovare i tumori prima che diano sintomi della loro presenza, in una fase in cui sono operabili nell’80% dei casi. Attualmente la maggior parte dei pazienti arriva alla diagnosi quando compaiono i sintomi, dunque con la malattia già più avanzata e minori possibilità di guarigione. Inoltre, grazie allo screening, è oggi possibile individuare tumori molto piccoli, che possono essere trattati con chirurgia mini-invasiva robotica e personalizzata, risparmiando la maggior parte del polmone sano, con recupero funzionale rapido e dimissione precoce. Negli Stati Uniti lo screening è già una procedura standard dal 2012, a seguito delle raccomandazioni internazionali basate su studi che mostrano una riduzione della mortalità della popolazione sottoposta a screening rispetto ai controlli. Il nostro obiettivo è coinvolgere le istituzioni affinché lo screening polmonare venga inserito anche fra le misure di politica sanitaria nazionale italiane proprio grazie a questo studio pilota messo a punto con l’ATS della Città metropolitana di Milano e i medici di famiglia».

Cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie

L’opzione di proporre controlli “a tappeto” sulla popolazione sana (ma a forte rischio di cancro ai polmoni) tramite la Tac spirale è oggetto di studio anche nel nostro Paese da tempo. SMAC non prevede però soltanto un focus sul tumore polmonare. «Il fumo è fra le cause scientificamente certe di 25 diverse malattie , tra cui molti tipi di cancro – ricorda Veronesi -. Ma al tabacco si devono anche moltissimi casi (e decessi) per malattie cardiovascolari e respiratorie. Ecco perché SMAC prevede l’esecuzione di alcuni esami tra cui calcio coronarico alla TC e spirometria, per il rilevamento del rischio cardiovascolare e diagnosi precoce dell’enfisema e della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)». Lo studio (che sarà attivo dall’1 settembre 2018 per 3 anni) si rivolge ai fumatori da più di 30 anni o agli ex fumatori con età superiore ai 55 anni, che non abbiano effettuato negli ultimi 18 mesi una TAC a basso dosaggio. 

L’innovazione nello screening: non solo tumori del polmone

Il fumo è uno dei principali fattori di rischio per l’infarto o l’aterosclerosi. La TAC del torace a basso dosaggio permette di calcolare il grado di calcificazione delle arterie coronariche, che è direttamente proporzionale al rischio di infarto o di stenosi delle coronarie. «Con lo screening potremo quindi arrivare anche a una valutazione del rischio cardiovascolare dei partecipanti al programma e, in caso, indirizzarli a controlli cardiologici per la prevenzione oppure a cambiamenti di stili di vita o a trattamenti con terapie preventive (statine)» spiega Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento cardiovascolare di Humanitas e docente di Humanitas University . «Inoltre, con il dosaggio nel sangue di alcune proteine collegate all’infiammazione e con la spirometria, che valuta il funzionamento del polmone, insieme con i dati sulla presenza o meno di quadri di enfisema mostrati dalla TAC, potremo valutare la presenza di BPCO e anticiparne il trattamento riducendo la disabilità cronica» aggiunge Francesca Puggioni, pneumologa del Centro di Medicina Personalizzata Asma e Allergie di Humanitas. “ Corriere Della Sera 

René Magritte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alzheimer, uno studio chiama in causa l’ipotesi virale

 

 

 

 

 

“Sarebbero due herpesvirus umani, il 6 e il 7 (in particolare Hhv-6A e Hhv-7), ad essere stati trovati nei cervelli di malati in una percentuale doppia rispetto a chi non ha l’Alzheimer. Si tratterebbe della prima evidenza dell’integrazione nel cervello del virus, un ruolo che a questo punto va preso in esame seriamente nello studio delle possibili cause della malattia. Insieme a questo i ricercatori hanno individuato un nuovo possibile target genetico finora sconosciuto. Sono stati esaminati 600 tessuti di altrettanti cervelli, sani e malati, in quattro diverse aree cerebrali; confrontati poi con 800 campioni di tessuto cerebrale presenti nell’archivio della Mayo Clinic e il Rush Alzheimer’s Disease Center. Il team ha scoperto un “complesso network di associazioni inaspettate, con collegamenti a specifici virus e a diversi aspetti della biologia dell’Alzheimer”. Esaminando l’influenza di ogni virus su specifici geni e proteine si è arrivati all’identificazione di una associazione tra i due specifici virus, le placche beta-amiloidi e i grovigli neurofibrillari di proteina Tau (caratteristiche neuropatologiche della malattia di Alzheimer), insieme alla correlazione con la gravità della demenza in termini clinici.

• LE IPOTESI

“Questo studio – segnala Joel Dudley, direttore dell’Institute for Next Generation Healthcare all’Icahn School of Medicine al Mount Sinai – rappresenta un significativo avanzamento nella comprensione della plausibilità dell’ipotesi patogena dell’Alzheimer. Se diviene evidente che specifici virus sono direttamente implicati nel rischio dello sviluppo o nella sua progressione una volta diagnosticato l’Alzheimer, saremo in grado di comprendere e affrontare meglio l’evoluzione della malattia”.

Ovviamente si potrebbero, a questo punto, ipotizzare specifici e mirati farmaci. Servono comunque ulteriori conferme e altre analisi sebbene, come dice un altro degli autori dello studio, il neurologo Sam Gandy, direttore del Center for Cognitive Health al Mount Sinai, “una simile situazione è emersa recentemente in certe forme del morbo di Lou Gehrig (la malattia degenerativa neuromuscolare chiamata Sla, ndr). Lì le proteine virali sono state trovate nel liquido cerebro-spinale di alcuni pazienti malati e i malati positivi ai test virali hanno avuto alcuni benefici dall’assunzione di farmaci antivirali”. La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

June 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL NOSTRO modo di pensare cambia durante la giornata, seguendo cicli di 24 ore che ci portano ad essere Dottor Jekyll, ovvero razionali e analitici, di giorno, con un picco prima delle 10 del mattino, e Mr Hyde, ovvero meno razionali, più viscerali e più disordinati, anche nell’esposizione, quando è buio. Lo mostra uno studio che ha analizzato sette miliardi di parole usate in 800 milioni di tweet in un periodo di quattro anni.

«Ogni mezz’ora raccogliamo tweet da 54 città diverse. Abbiamo così accumulato, negli anni, una ricca serie temporale di contenuti. A interessarci, più che i fatti specifici di cui la gente parla su Twitter, è cos’altro questi tweet rivelino sui loro autori: il morale, l’umore, le preoccupazioni, le attività» spiega Nello Cristianini, docente all’Intelligent System Laboratory dell’Università di Bristol e coautore dello studio pubblicato su Plos One. «Ad aiutarci sono strumenti molto sofisticati di psicometrica (la scienza che serve a misurare i test piscologici) elaborati da psicologi americani, che, invece di usare i classici questionari, hanno iniziato a leggere i testi scritti dai pazienti – ad esempio diari e annotazioni – e ne hanno tratto delle liste di parole utili a rivelare lo stato d’animo di chi le scrive. Sono state così stilate nel tempo liste di centinaia di parole per ogni argomento, con 73 argomenti diversi». Liste che i ricercatori inglesi hanno applicato ai contenuti di Twitter, anonimizzati e ordinati cronologicamente.

IL DIZIONARIO DELL’EMOTIVITA’

«Abbiamo trovato che la maggioranza di queste parole rivelatrici sono usate con una periodicità precisa: seguono un ciclo di 24 ore» spiega Cristianini. «Poco prima dell’alba, nei tweet mandati verso le 3-4 di mattina, notiamo una forte presenza di termini che hanno a che fare con la religione, la spiritualità e le riflessioni esistenziali. Man mano che prosegue la mattinata, nei tweet diventano gradualmente più frequenti le parole riferite al lavoro, ai soldi, al rischio, alle ricompense. E si usano frasi con costruzioni più sofisticate, ricche di preposizioni e di avverbi. Sono ore in cui c’è un alto pensiero razionale analitico: il picco è tra le 6 e le 10». Continuando la giornata, si arriva alla sera: «Quelle serali e notturne sono ore dove si parla di ansia, emozioni (soprattutto negative), rapporti tra uomini e donne. Poi, verso la notte, le frasi si fanno meno fluenti e meno ben formate. E aumenta la presenza di parolacce nei tweet. Arrivati intorno alla mezzanotte cresce il numero dei riferimenti lessicali alla morte». E poi il ciclo riprende.

·RITMO CIRCADIANO E TWEET

La domanda di fronte a quanto emerge dallo studio è se a scandire i tempi dei cicli emotivi rivelati dai tweet siano fattori del tutto esterni – ad esempio se in certe ore si è più lucidi solo perché ci si trova fisicamente in ufficio – oppure fattori interiori, come i ritmi circadiani e gli ormoni. «Anche se in questo studio non l’abbiamo dimostrato, il sospetto che ci sia un ruolo dei cicli circadiani c’è: i cicli che abbiamo visto nel linguaggio dei tweet assomigliano a quelli di ormoni conosciuti» spiega Cristianini. «Ad esempio il grafico del linguaggio analitico-razionale tipico del mattino ha un andamento molto simile a quello dell’ormone cortisolo, che sale al mattino alle 7 e poi scende lungo la giornata marcando lo stress e seguendo il nostro orologio interno». Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dieta: non è tanto quanto mangi ma a che ora ti siedi a tavola

 

 

 

“ E questa semplificando l’idea che sta dietro alla crononutrizione, che non è l’ennesima dieta ma un regime alimentare di cui si è cominciato a parlare verso la metà degli anni ’80 e che tiene conto dell’importanza di sincronizzare i pasti col nostro orologio interno, a cominciare dal ciclo sonno-veglia, luce-buio. E’ recente uno studio pubblicato su Diabetic Medicine che sostiene che le persone con diabete di tipo 2 che fanno colazione tardi, hanno maggiori probabilità di avere un indice di massa corporea più alto rispetto a chi ha l’abitudine di anticipare il prino pasto della giornata. A parità di calorie assunte.  Un’altra ricerca più datata ma forse più indicativa della prima, ha valutato la relazione tra timing alimentare (l’orario dei pasti) e efficacia di un regime dimagrante su un campione di 420 persone sottoposte a 20 settimane di dieta dimagrante. Il risultato?  Chi aveva l’abitudine di pasteggiare più tardi, chiamiamoli i mangiatori tardivi, perdeva meno peso e a un tasso più lento rispetto ai mangiatori chiamiamoli anticipati. Anche in questo caso: a parità di calorie, alimenti, consumo energetico, ormoni dell’appetito e durata del sonno. Ma – secondo i ricercatori  – i mangiatori tardivi  erano gli stessi che andavano più speso a letto tardi la sera, che la mattina facevano colazioni meno sostanziose,  o che la colazione la saltavano proprio. Insomma con i pasti, più anticipi meglio è sembrerebbe.

• IL RITMO CIRCADIANO DEGLI ORMONI

Ma qual è la ragione scientifica del vantaggio di anticipare i pasti? E, più in generale, perché il timing alimentare influenza gli effetti del cibo in termini di peso corporeo, e quindi di salute?  “Sappiamo ancora poco di crononutrizione però sappiamo quello che osserviamo”, spiega  Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca al CREA  di Roma. “E cioè – riprende – che gli ormoni seguono un ritmo circadiano, vale a dire che la loro produzione varia nel corso delle 24 ore. È il caso dell’insulina, che ha un picco intorno alle 17, o della leptina, l’ormone anoressizzante,  che ce l’ha verso l’una di notte. Non solo. Osserviamo che chi consuma la maggior parte delle calorie nella prima parte della giornata è più magro, ha minor rischio diabetico e cardiovascolare. Al contrario di chi per lavoro è costretto a stare sveglio la notte, che invece è a maggior rischio metabolico e cardiaco.

• IL GRADIENTE OBESITÀ

“Osserviamo – riflette ancora Ghiselli- che esiste un gradiente geografico obesità: in Europa la diffusione dell’eccesso di grasso corporeo aumenta scendendo verso i paesi del Sud, che sono gli stessi dove si tende a cenare la sera tardi. Infine abbiamo dati sugli animali da laboratorio, che non si possono trasferire sugli umani, ma sono indicativi: i ratti sottoposti a un ritmo luce-buio normale sono meno grassi di quelli tenuti artificialmente a un ritmo luce-meno luce, cioè mai al buio, che mangiano di più. Ecco, tutto questo ci dice che anticipare la quota maggiore di energia nella prima parte della giornata aiuta a sincronizzarci con i ritmi circadiani. Ma sulle ragioni, cioè sui perché le cose vanno così, oggi possiamo solo fare ipotesi”. Facciamole. “Potrebbe esserci più di un causa e cause diverse che agiscono insieme – riflette l’esperto – Per esempio ragioni comportamentali: come dire che se la notte stai sveglio tendi a mangiare di più, molto semplicemente. Oppure potrebbe essere che la luce compromette il corretto funzionamento dell’orologio biologico. Tuttavia nell’attesa di ampliare le nostre conoscenze, se concentriamo la maggior parte dell’energia nella prima parte della giornata non sbagliamo”, ribadisce.

Ma ci sono alimenti che è meglio mangiare prima, e altri che volendo  si possono consumare anche più tardi nel corso della giornata? “So che c’è chi dice che evitare di mangiare carboidrati dopo le 17 del pomeriggio fa perdere peso. è una sciocchezza: mille calorie sono mille calorie – conclude – carboidrati o no”. “ 

La Repubblica 

René Magritte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Borsa italiana e il restauro di 8 opere del Museo di Capodimonte

 

 

 

“Borsa Italiana sceglie il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli per la terza edizione del progetto «Rivelazioni – Finance for Fine Arts» per il restauro di otto opere. Grazie a un accordo tra Borsa Italiana e Museo e Real Bosco di Capodimonte, verrà promossa la raccolta di risorse destinate al restauro delle opere presso aziende e operatori appartenenti alla comunità finanziaria nazionale e internazionale. Attraverso una nuova forma di mecenatismo, favorita anche dall’Art Bonus, i finanziatori che aderiscono al progetto adotteranno un’opera tra quelle selezionate dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e promosse da Borsa Italiana contribuendo alla loro restituzione e alla piena fruibilità da parte del pubblico. Il progetto messo a punto da Borsa Italiana consente di ottimizzare il meccanismo di raccolta fondi attraverso la proposta di più opere con costi di restauro differenti, facilitando la relazione tra mecenate e museo e semplificando le modalità di donazione. 

Borsa Italiana, inoltre, promuoverà il progetto presso il proprio network nazionale e internazionale. Quest’edizione sarà realizzata grazie all’impegno di aziende campane di Elite, il programma internazionale di Borsa Italiana SPA nato nel 2012 in collaborazione con Confindustria dedicato alle imprese ad alto potenziale di crescita. In particolare sette aziende hanno già adottato cinque opere: D&D Italia SPA adotta Adorazione dei pastori di Giovan Battista Salvi; Protom adotta Natività di Luca Signorelli; Cartesar adotta La Cantatrice di Bernardo Cavallino; Epm adotta Adorazione Del Bambino di Michelangelo Anselmi; Pasell, Graded e Tecno adottano Ritratto di Pier Luigi Farnese di Tiziano Vecellio. Le opere restaurate saranno esposte presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte e, ove possibile, presso BIG – Borsa Italiana Gallery, lo spazio espositivo all’interno di Palazzo Mezzanotte, la storica sede di Borsa Italiana a Milano.” Corriere della sera 

René Magritte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche giovani hacker (etici) italiani alla sfida mondiale di Singapore

 

 

 

“Giovani cyber talenti crescono. E si sfidano a livello mondiale. Al Defence Discovery Camp (competizione promossa dalla Defence & Science Technology Agency) che si svolgerà dall’11 al 12 giugno a Singapore, parteciperà anche l’Italia con altri team stranieri provenienti da Usa, Uk, Estonia, Romania, Israele. Nel dettaglio, l’Italia parteciperà con 4 studenti della Cyber Academy dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Alessandro Guido, team leader, Antonio Cirino, Matteo Corradini e Giacomo Sighinolfi) guidata dal professor Michele Colajanni . Il ponte affinché i talenti cyber in Italia potessero cimentarsi nella più importante competizione per hacker al mondo che si svolge ogni anno a Singapore è stato creato da Cy4Gate, attraverso la sede di rappresentanza del Gruppo Elettronica a Singapore guidata da Gianluca Trezza. Oltre ad aver creato i presupposti per questa partecipazione, Cy4Gate (joint venture tra la romana Elettronica, leader internazionale nel campo della Electronic Warfare, ed Expert System, azienda modenese leader nel settore del Cognitive Computing) ha sostenuto anche economicamente l’iniziativa, credendo nel grande valore della formazione di queste competenze in Italia dove ogni anno il cybercrime costa 6,73 miliardi di dollari (fonte: Report Accenture Ponemon Institute). «La necessità che nel nostro Paese possano formarsi white hat (hacker etici) con forti competenze procede di pari passo con quella che ci sia una solida l’industria nazionale cyber, come avviene in Paesi come gli stati Uniti o Israele che ben hanno capito l’importanza che un tema così sensibile sia gestito da imprese e competenze nazionali», spiega Eugenio Santagata, Ceo di Cy4Gate.” Corriere 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Microsoft compra GitHub, il ‘social’ degli sviluppatori

 

 

 

“Microsoft comprerà GitHub per 7.5 miliardi di dollari. A rendere noto l’accordo è un post pubblicato sul blog ufficiale della compagnia firmato dall’amministratore delegato in persona, Satya Nadella. Un colpo grosso per l’azienda di Redmond che dopo l’annuncio ha visto il proprio titolo in borsa segnare un rialzo dell’1,27%. Un colpo al cuore per molti sviluppatori che in queste ore hanno commentato su Twitter la notizia, preoccupati. Perché l’acquisizione della popolare piattaforma in cui i programmatori di tutto il mondo condividono il codice sorgente dei loro progetti è destinata ad avere un enorme impatto sulla comunità, nonché a far discutere.

Viene così confermata l’indiscrezione riportata da Bloomberg nelle scorse ore, che ha fatto seguito a settimane di trattative. A metà strada tra un social network e un deposito di file, negli anni GitHub è diventato un punto di riferimento per chi scrive codice tanto per passione quanto per professione. Deve il proprio nome a Git, lo strumento che permette di tener traccia delle modifiche fatte al codice sorgente messo a punto da Linus Torvalds, creatore del cuore di Linux, il sistema operativo open source. Una caratteristica che l’ha resa una piattaforma essenziale per gli sviluppatori, che qui hanno l’opportunità di confrontare e migliorare le loro creazioni, risolvendo eventuali problemi e aggiungendo nuove funzioni.

Sono 27 milioni quelli che la usano al momento, lavorando a circa 80 milioni di progetti software sia proprietari che aperti. Nel 2016 il servizio ha incassato 98 milioni di dollari in nove mesi, mentre l’ultima valutazione risale al 2015 e vede GitHub quotato due miliardi di dollari. Ma non è tutto oro colato. Nonostante questi successi, le perdite sono state significative e da mesi l’azienda cerca un nuovo amministratore delegato per rimpiazzare Chris Wanstrath, uno dei fondatori della compagnia, e dare nuova grinta all’impresa. Un’occasione ghiotta per Microsoft che risulta essere uno dei più grandi contribuenti di GitHub e da tempo cerca di tendere una mano al mondo open source. Anche per spingere l’adozione di Azure, la sua piattaforma cloud. Basti pensare alla partnership con Canonical per portare Ubuntu su Windows 10.” La Repubblica 

Philippe Bertho

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Privacy e Gdpr, ecco perché vi stanno tempestando di mail

 

 

 

“Impossibile non notarlo: da qualche giorno siamo sommersi da e-mail o messaggi interni a portali e applicazioni che ci chiedono il consenso per (continuare a) trattare i nostri dati.

Perché? Il motivo è l’applicabilità del nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali da venerdì 25 maggio. Si tratta di un testo composto da 99 articoli della Commissione europea che tutela la privacy dei cittadini europei. Spesso viene chiamato solo con l’acronimo (dall’inglese) Gdpr. Quali sono i nostri diritti? Facile (per noi, un po’ meno per le aziende, che — fra le altre cose — devono dotarsi di un responsabile dei dati). Innanzitutto: nessuno potrà trattare in alcun modo i nostri dati personali senza prima aver ottenuto il nostro consenso. Chiunque dovrà spiegarci in modo chiaro cosa vuole farne e per quanto tempo intende conservarne un copia. Sia un social network, un sito tramite il quale prenotare un visita medica, un portale di commercio elettronico o un negozio munito di tessere fedeltà.

Cosa possiamo fare con i dati? Dovremo essere messi in condizione di usare un servizio anche se non concediamo il trattamento delle nostre informazioni personali. L’accettazione non dovrà essere vincolante. E ancora, tutto quello che i vari Facebook, Whatsapp, Twitter, Snapchat o Apple sanno di noi dovrà essere facilmente accessibile, scaricabile, modificabile, cancellabile o trasferibile a un altro servizio analogo. Immaginate un cassetto con il vostro nome nel grosso armadio di ogni colosso della Rete: dovremo poterlo aprire, vedere e prendere quello che c’è dentro, distruggerlo (il diritto all’oblio, con il titolare del trattamento che dovrà comunicare a terzi l’eventuale intervento nel caso di precedente diffusione pubblica dei dati), spostarlo in un altro armadio o toglierlo momentaneamente per poi rimettercelo (limitazione del trattamento). Tutti i dati sono uguali? No: c’è dato e dato. L’accesso a quello più delicati, che riguardano religione, sessualità o politica, è vietato. Richiede, nel caso, un consenso esplicito per assolvere diritti od obblighi specifici. Per applicare il riconoscimento facciale al nostro volto — dato biometrico —, ad esempio, Facebook deve spiegarci in modo esaustivo la ragione precisa della richiesta (e lo fa appellandosi alla sicurezza).

C’è un età minima per navigare su Internet? Per i Regolamento sono i 16 anni, anche se i singoli Paesi potranno muoversi autonomamente nella forchetta 13-16. Nel suo parere al decreto italiano di adeguamento (che difficilmente finirà l’iter prima dell’estate), il Garante italiano ha indicato 14 anni, che è anche l’età in cui un ragazzino o una ragazzina può denunciare atti di cyberbullismo. I colossi di Internet stanno delegando la raccolta del consenso alla buona fede dei giovani interessati: ci vuole pochissimo, spesso un solo clic, per confermare di avere almeno 16 anni.Cosa succede in caso di furto dei dati? Ricordate lo spaventoso hackeraggio subito da Yahoo? O, (molto) più recentemente, il trattamento illecito delle informazioni di 87 milioni di iscritti a Facebook da parte di Cambridge Analytica? Ecco. Adesso le piattaforme coinvolte dovranno avvisare tempestivamente, «ove possibile, entro 72 ore dal momento in cui ne è venuto a conoscenza», l’autorità di controllo e i diretti interessati, a meno che la violazione non presenti alcun rischio.

Come possiamo far valere questi diritti? Facile, ancora una volta: rivolgendosi direttamente a chi tratta i dati. Da venerdì 25 maggio potremo fare riferimento ad aziende e piattaforme. Dovranno risponderci, per non incorrere in multe che solo nei casi più gravi potranno arrivare al 4 per cento del fatturato annuale. Mai come in questo momento, ammesso che la privacy sia davvero un cruccio, conviene leggere con attenzione i termini d’uso e le informative prima di accettarli. Se ci si rende conto di essere stati protagonisti di un abuso bisogna, come detto, bussare alla porta dei titolari del trattamento. In caso di mancata risposta o risoluzione del problema si può fare il reclamo al Garante per la privacy o ricorso al giudice ordinario. Per il Garante, si può andare nel penale nel caso in cui ci sia un danno d’immagine e reputazionale non legato esclusivamente al profitto (vedi casi come quello di Tiziana Cantone).”

Corriere della sera 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

May 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Privacy, vari siti Usa offline in Europa. Tra questi anche il Los Angeles Times e il Chicago Tribune

 

 

 

“Gdpr è appena entrato in vigore e già si presentano i primi problemi. A causa del nuovo regolamento Ue sul trattamento e la protezione dei dati personali, che dovrà essere accettato anche dai big della Silicon Valley come Google e Facebook, diversi siti statunitensi sono momentaneamente offline in Europa. Tra le pagine web irraggiungibili ci sono il New York Daily News, il Chicago Tribune, il Los Angeles Times, l’Orlando Sentinel e il Baltimore Sun, tutti appartanenti al gruppo statunitense Tronc. Mentre Facebook e Google sono state già accusate di “consenso forzato”.

Il regolamento Ue 2016/679 impone alle aziende tech di informare in modo chiaro gli utenti sulle informazioni che verranno raccolte e il modo in cui verranno usate, impone sanzioni pesanti in caso di violazione della privacy e regolamenta anche il diritto all’oblio. In caso di irregolarità il Garante infliggerà multe molto salate alle aziende inadempienti: fino a 20 milioni di euro o addirittura il 4 per cento del loro fatturato globale. 

I difensori della privacy hanno salutato la nuova legge come un modello per la protezione dei dati personali nell’era di Internet. Ma gli oppositori sostengono che le nuove regole sono eccessivamente onerose. E forse è anche questo uno dei motivi per cui molte aziende non sono arrivate puntuali all’appuntamento, non adeguando le loro policy sulla privacy entro la data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.

A metà mattinata i lettori europei che tentavano di accedere ai siti web dei media appartenenti a Tronc si sono trovati davanti un insolito messaggio di scuse: “Siamo concentrati sulla questione e ci impegnamo a trovare opzioni che supporti la gamma completa delle nostre offerte digitali nel mercato dell’Ue”.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Plastica: tutto quello che sappiamo sull’inquinamento

 

 

 

“DOPO l’era della pietra, l’età del ferro, la nostra era potrebbe passare alla storia come l’età della plastica. Quasi ogni oggetto che possediamo contiene delle plastiche, perfino il tonno in scatola. Questo almeno secondo gli studi più recenti sulle plastiche in mare. Ma quanta questa sia, quale sia il suo impatto reale su ecosistemi e organismi viventi è ancora poco noto. L’ecologo Giuseppe Bonanno della Università di Catania e la biologa Martina Orlando-Bonaca dell’Istituto Nazionale di Biologia sloveno, hanno da poco presentato sulla rivista Environmental Science and Policy uno studio che raccoglie le ricerche condotte fino ad ora a livello globale, che tenta di fare luce sulla presenza delle plastiche in mare e i loro effetti sulla biosfera? Abbiamo chiesto a Bonanno di riassumere i risultati della loro analisi.

 

·QUANTA PLASTICA NEGLI OCEANI?

La produzione di materie plastiche è in crescita da oltre 50 anni. Negli ultimi anni è impennata: nel 1988 si producevano globalmente 30 milioni di tonnellate, nel solo 2016 abbiamo raggiunto la cifra record di 335 milioni di tonnellate. Le stime fatte fino ad ora vanno dagli 8 ai 13 milioni, toccando anche i 15 milioni di tonnellate all’anno della plastica che produciamo finisce in mare. Sembra poco? Basti pensare allora che, in termini di peso, è come buttare in mare circa un milione di tir all’anno.

 

·ESISTONO AREE INCONTAMINATI?

La risposta è semplice e sconcertante: no. Una semplice bottiglia di plastica può rimanere negli oceani anche per 400 anni prima di decomporsi. Avrà dunque tutto il tempo per arrivare ovunque nei nostri mari. La plastica è ormai onnipresente in tutti gli habitat marini del mondo, nessuno escluso.  Anche se l’attenzione dei media si concentra sulle così dette “isole di plastiche”, giganteschi accumuli di rifiuti che si addensano al centro di vaste correnti anti-cicloniche sub-tropicali, la verità è che la plastica raggiunge anche i territori più remoti e incontaminati come le isole oceaniche delle Hawaii e delle Galapagos. Negli oceani non esiste una zona franca per le plastiche.

 

·DA DOVE ARRIVA TUTTA QUESTA PLASTICA? 

La maggior parte arriva dai continenti. Ma al largo delle coste, lontano dalla attenzione della gente, moltissimi rifiuti plastici si generano anche in mare. Marine mercantili e pescherecce, piattaforme oceaniche per l’estrazione del petrolio, disperdono materiale plastico in mare più di quanto ci immaginiamo. Gli studi che abbiamo analizzato dimostrano che circa il 20% della plastica è rilasciata da mezzi di trasporto o strutture presenti in mare. Purtroppo a oggi è risultato inutile il divieto alle navi di smaltire la plastica direttamente in mare. Stoviglie di metallo anziché di plastica non possono che rendere una crociera più sostenibile.

LE PLASTICHE SONO TUTTE UGUALI?

No. Intanto dobbiamo distinguere le macroplastiche dalle microplastiche. La differenza sta nelle dimensioni, e precisamente le microplastiche hanno diametro inferiore ai cinque millimetri. Le microplastiche sono ritenute più dannose per gli oceani sia per la loro pervasività ma anche per la più facile ingestione dagli organismi marini. Inoltre, e questo non sarà un conforto per molti, un mito da sfatare riguarda invece il ridotto impatto delle bioplastiche la cui degradazione avviene invece con difficoltà per le basse temperature degli oceani. Il marchio “bio”, dunque, in mare non funziona ancora come dovrebbe.

 

·QUALI EFFETTI HA IL MARINE LITTERING? 

Al momento siamo a conoscenza di più di 690 specie marine che sono state contaminate dalla plastica.  E abbondano i casi di pesci, tartarughe e uccelli morti a causa di una massiccia ingestione di sostanze plastiche o anche per intrappolamento in reti o lenze abbandonate. Il problema è che sono ancora troppo pochi gli organismi marini studiati. Basti considerare che nel nostro Mediterraneo l’impatto della plastica è stato studiato in appena un centinaio di organismi a fronte delle migliaia di diverse specie presenti.

 

·LE PLASTICHE FINISCONO NEL NOSTRO PIATTO? 

Sostanze plastiche sono state trovate sin dai gradini più bassi della catena alimentare: dallo zooplancton sino ai grandi pesci. Il fatto che non la vediamo non esclude che ci sia: la plastica accumulata nei tessuti degli organismi può raggiungere anche noi esseri umani tramite il consumo di pesce o frutti di mare. Oggi non ci sono frutti di mare, dai mercati della Cina a quelli europei, che non contengano tracce di plastica. Uno studio su sardine in scatola ha già mostrato la presenza di PET e PP, due plastiche comuni. Il rischio di un consumo diretto di plastica dunque c’è: la plastica è stata rilevata in organismi marini che troviamo frequentemente sulle nostre tavole come il tonno e il pesce spada.

 

·QUALI EFFETTI DELLE PLASTICHE IN MARE SULL’UOMO?

Per fortuna, per il momento non esistono prove dirette di effetti del marine littering sull’uomo. Però non escluderei che già da qualche tempo ingeriamo plastica senza rendercene conto. Anche qui la notizia è che ci basiamo sui pochi dati ufficiali, e quindi nella realtà la risposta potrebbe essere ben diversa. Le cozze, il tonno o il pesce spada, ad esempio possono contenere plastica. Addirittura alcuni studi hanno riscontrato che circa il 30% degli organismi marini di interesse commerciale nel Mediterraneo è a rischio contaminazione da plastiche. Uno studio sul pescato indonesiano e statunitense ha dimostrato che più del 25% dei prodotti contenevano plastiche nello stomaco.

·QUALE IMPATTO SULLA FAUNA MARINA?

La buona notizia è che per ora non ci sono casi documentati di organismi marini a rischio estinzione a causa di ingestione o intrappolamento dovuto alla plastica. Quella cattiva è che però questo potrebbe essere dovuto al fatto che gli studi sono agli inizi, come per gli impatti sul nostro organismo. I timori che alcuni habitat possano essere quasi compromessi ci sono: c’è sempre più plastica nei mari, tanto che ora le abbiamo trovate anche nelle regioni più remote come i poli. Troviamo sempre più organismi che hanno concentrazioni di plastica nei loro tessuti. Questi sono segnali chiari. Bisogna fare qualcosa al più presto per ridurre la plastica marina prima che sia troppo tardi.

 

·ESISTONO LEGGI O NORME PER LA RIDUZIONE DELLA PLASTICA?

Come dicevo, alcuni regolamenti e convenzioni esistono [come la Marpol: Convenzione Internazionale per la Prevenzione dell’Inquinamento Navale, ndr]. La plastica negli oceani è riconosciuta come un rifiuto pericoloso dalle principali organizzazioni governative internazionali e nazionali. Tuttavia i controlli non sono ancora adeguati. Ma le cose stanno cambiando e non mancano segnali incoraggianti da tutto il mondo. Ad esempio a Mumbai (India) è in corso una massiccia pulizia delle spiagge da parte di volontari, mentre è di questi giorni la notizia del sindaco delle Isole Tremiti che con un’ordinanza vieta l’uso delle stoviglie di plastica. La plastica negli oceani è un problema di tutti, e come tale tutti dobbiamo fare la nostra parte.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcuno distrugge lo strato dell’ozono. Ma gli scienziati non capiscono chi sia

 

 

 

“C’E’ un giallo nell’atmosfera. I gas che distruggono l’ozono erano stati messi al bando dal Protocollo di Montreal, nel 1987. Praticamente nessuna fonte nota di clorofluorocarburi esiste sulla Terra dal 2010. Eppure dal 2013 le misurazioni registrano una nuova, misteriosa, sorgente di questo gas. Nessuno capisce quale sia la sua origine, né perché i clorofluorocarburi debbano essere ancora fabbricati, dal momento che esistono validi sostituti dei gas distruggi-ozono. Eppure la nuova minaccia per l’atmosfera è stata descritta oggi dalla Noaa, la National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti. I dati, insieme a un editoriale, sono pubblicati dalla rivista Nature. I cloro fluoro carburi sono usati dagli anni ’40 con una miriade di funzioni: dalle bombolette spray ai frigoriferi agli isolanti degli edifici. Nel 1985, quando fu scoperto il buco nello strato di ozono sopra l’Antartide, questi gas furono subito individuati come i responsabili della reazione chimica che avviene nella stratosfera (all’incirca tra 10 e 50 chilometri di altitudine), distruggendo lo scudo protettivo della Terra contro i raggi ultravioletti del Sole. Due anni più tardi il Protocollo di Montreal, firmato da circa 200 paesi, bandì la fabbricazione di clorofluorocarburi. L’industria non faticò a trovare prodotti alternativi. Il trattato viene considerato oggi uno degli esempi virtuosi di diplomazia salva-ambiente. Se bloccata subito, l’emissione può ritardare la “ricucitura” del buco dell’ozono di una decina di anni. Un danno considerato limitato: la presenza dei clorofluorocarburi in atmosfera è comunque in diminuzione, anche se a un tasso ridotto del 50% rispetto al periodo 2010-2012. Riuscire a inchiodare il colpevole alle sue responsabilità non sarà facile. Neppure è escluso che le emissioni siano in realtà frutto di qualche reazione chimica sconosciuta. Quel che è certo è che la caccia ai clorofluorocarburi clandestini si sta delineando come una vera e propria indagine poliziesca.”

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bug nei protocolli di codifica delle mail: a rischio quelle crittografate

 

 

 

 

“ Il BUG, scoperto da un ricercatore europeo, riguarda le e-mail criptate. Quelle utilizzate per comunicazioni particolarmente sensibili. Non sono così sicure come si pensa: chiunque utilizzi i protocolli PGP, Pretty Good Privacy, e S/Mime, Secure Multipurpose Internet Mail Extension, per proteggere le proprie conversazioni digitali rischia grosso. Anche rispetto a quanto già inviato in passato. Questi due protocolli sarebbero vulnerabili ad attacchi in grado di leggere i contenuti cifrati. Il ricercatore Sebastian Schinzel, docente alla tedesca Münster University of Applied Sciences, pubblicherà martedì mattina insieme ai suoi colleghi un documento in cui promette di illustrare nel dettaglio la vulnerabilità. Secondo Schinzel l’uso di quei due protocolli potrebbe “rivelare il testo in chiaro delle mail cifrate, incluse mail cifrate che si sono inviate in passato”.

Inoltre, ha raccontato il professore su Twitter, “non esistono in questo momento delle soluzioni affidabili per la vulnerabilità. Se usate PGP/GPG o S/Mime per comunicazioni molto sensibili, dovreste disabilitarli nel vostri client di email ora”. A rinforzare le rivelazioni dell’esperto c’è anche un approfondimento dell’organizzazione Electronic Frontier Foundation nel quale si conferma che “queste vulnerabilità pongono un rischio immediato per chi usa questi strumenti per la comunicazione email, inclusa la possibile esposizione di contenuti di messaggi passati”. Il consiglio della Eff così come dei ricercatori è dunque di disabilitare immediatamente o disinstallare i sistemi di codifica dei client più diffusi, Outlook, Apple Mail e Thunderbird. Il riferimento è a plugin e add-on di codifica come Enigmail, GPGTools e Gpg4win)che integrano PGP nelle mail. Finché le vulnerabilità descritte nel paper che sarà pubblicato domani non saranno meglio analizzate e comprese, il consiglio dei ricercatori è di usare altri canali cifrati come Signal. Al momento, infatti, non esistono patch efficaci per risolvere la vulnerabilità.” 

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo studio: Michelangelo era mancino, usò destra per pregiudizi

 

 

 

“Michelangelo era mancino: sebbene si fosse esercitato fin da giovane a dipingere con la mano destra, continuava a usare la sinistra nelle azioni di forza come scolpire e cesellare. Lo indica lo studio pubblicato su Clinical Anatomy dall’esperto di medicina nell’arte Davide Lazzeri, che ha confrontato il tratto impresso nelle opere di Michelangelo con la recente scoperta della sua artrite alle mani e con l’autocaricatura ritrovata nel dipinto di Vittoria Colonna, dove si vede l’artista che dipinge con la destra. Questi nuovi indizi confermano quanto riportato nella biografia di un assistente di Michelangelo, Raffaello da Montelupo, in cui si racconta come il maestro rinascimentale fosse mancino naturale e provasse sempre a usare la mano destra, tranne che nelle azioni di forza. Le prove, spiega Lazzeri, “emergono dall’analisi del tratto dei disegni e dallo studio del 2016 in cui ho descritto l’artrite degenerativa che ha colpito la mano di Michelangelo, in particolare la mano sinistra come si evince dai quadri, usata per i lavori di forza come scolpire e cesellare.

Altro elemento suggestivo è che Michelangelo in giovane età intaglia e incide un crocifisso per l’abbazia di Santo Spirito in cui l’iscrizione è dipinta da destra a sinistra, molto probabilmente perché all’epoca era ancora più abile con la mano sinistra nella pittura”. Il continuo celare la propria natura era dovuto ai pregiudizi che al tempo che colpivano i mancini. “Sicuramente questi pensieri erano ancora più forti per gli artisti che lavoravano a contatto con il clero”, conclude Lazzeri.” 

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Facebook allena l’intelligenza artificiale con Instagram: macinati miliardi di immagini e hashtag

 

“LE FOTO dei nostri cani e gatti, i selfie che non si contano, i tramonti e i panorami? E ancora, oggetti di ogni tipo, abiti, outfit, automobili e così via. Oltre 17mila hashtag, per un totale di 3,5 miliardi di immagini caricate dagli utenti su Instagram, sono state date in pasto da Facebook (che dell’applicazione fotografica è la casa madre) ai propri sistemi di intelligenza artificiale e machine learning. Obiettivo: migliorare le capacità di riconoscimento e, in seguito, utilizzare quelle abilità tecnologiche (come in realtà già si fa nella stragrande maggioranza dei casi) per diversi scopi. Su tutti, capire cosa va rimosso. Ma anche dare una mano sotto il profilo dell’accessibilità.

Nel corso dell’ormai conclusa conferenza F8 di San José Facebook ha spiegato un po’ meglio queste sue strategie: “Abbiamo usato gli hashtag di 3,5 miliardi di foto di Instagram” ha detto dal palco il Cto Mike Schroepfer. D’altronde, quale database più ricco e appropriato per una simile educazione delle macchine se non Instagram, dove 800 milioni di utenti scaricano ogni giorno milioni di immagini? Nel corso della convention sono stati illustrati alcuni esempi, per capire come si è sviluppato il processo. Ad esempio, prima gli scatti sono stati “depurati” dagli hashtag inappropriati, quelli magari scritti male o del tutto fuori contesto, inseriti solo al fine di raccogliere cuoricini.Dopo la cura dimagrante, le immagini con i loro hashtag sono stati appunto sottoposti alle macchine – che imparavano mentre associavano – che con un tasso eccezionale di accuratezza, di circa l’85,4%, sono riuscite a infrangere il precedente record, stabilito l’anno scorso da Google con ImageNet che si era fermata all’83,1% di precisione. Al momento il sistema è in grado di riconoscere foto appartenenti a 20mila categorie.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amazon vuole dare la “memoria” ad Alexa

 

 

 

“ALEXA, l’assistente virtuale di Amazon, diventerà presto molto più intelligente di quanto non sia. E anche più utile. Il gruppo di Seattle starebbe infatti pensando di aggiungere una capacità in qualche modo “mnemonica” al sistema di intelligenza artificiale della casa statunitense, che la renda in grado di registrare e recuperare informazioni passate per rendere le sue risposte – e il suo aiuto – più contestuali ed efficaci. Ad esempio, le funzionalità su cui il “negozio del mondo” sta lavorando consentiranno ad Alexa di “memorizzare informazioni che l’utente desidera e recuperarle in un secondo momento”, come ha dichiarato la stessa società. Quelle informazioni potrebbero essere congelate per tutto il tempo che si vuole, trasformando i dispositivi all’interno dei quali Alexa vive (dai gadget della linea Echo fino a quelli prodotti da terze parti) in una vita di mezzo fra reminder virtuali e capsule del tempo. Più semplicemente, si potrà chiedere ad Alexa (che ancora non è disponibile in Italia, anche se qualcosa si sta muovendo) di ricordarci i compleanni di tutti i membri della famiglia o dove abbiamo parcheggiato l’auto. Questo primo gruppo di funzionalità partirà “a breve”, spiegano dal quartier generale, e ovviamente spalanca una serie sterminata di possibilità per gli sviluppi futuri. Dando appunto “memoria” su questioni personali agli assistenti virtuali che ora le deducono principalmente dai contenuti a cui hanno accesso nei nostri diversi account collegati o dalle abitudini d’uso ma che un domani diventeranno autentici maggiordomi da salotto.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

April 2018:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Google aumenta i profitti del 73%. Corre la pubblicità in Rete

 

 

 

 

“La crescita della pubblicità in Internet fa bene ai conti di Google e della “casa madre” Alphabet, che annuncia profitti in crescita del 73 per cento nei primi tre mesi dell’anno. Nella sua comunicazione all’autorità borsistica degli Stati Uniti – la Sec – Alphabet dichiara entrate nette a 9,4 miliardi di dollari (rispetto ai 5,43 dello scorso anno). La voce ricavi balza a 31,15 miliardi (erano 24,75 un anno fa).I risultati sono superiori alle attese degli analisti, che guardavano con timore agli investimenti della società ad esempio nelle “nuvole web” dove trasferire i dati (cloud computing). Dimostrano peraltro che le norme sulla riservatezza dei navigatori, più stringenti ad esempio in Europa, non producono ancora effetti negativi sul bilancio. Va anche detto che Alphabet adotta una nuova contabilità che ridimensiona l’impatto degli investimenti in start up (come Uber Technologies Inc). Il titolo della società è rimbalzato nell’ultima settimana, quando le prime indiscrezioni hanno fatto capire che la trimestrale sarebbe andata bene. Da inizio anno, invece, l’azione si era depressa di quasi il 3,5%.Forte di questa copiosa liquidità, Ruth Porat spiega di vedere avanti a sé delle “oppurtunità eccitanti”. L’ad di Alphabet e Google, dunque, è pronto ad una nuova campagna di acquisizioni.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Facebook avvisa gli utenti: possibile attivare il riconoscimento facciale

 

 

 

 

“FACEBOOK avvisa gli utenti: in Europa è stato attivato il riconoscimento facciale. La funzione, ritirata nel 2012 per motivi di privacy, viene riabilitata sul social blu che dà agli iscritti la possibilità di scegliere se attivarla o meno. “Se attivi questa impostazione, useremo la tecnologia di riconoscimento facciale per capire quando potresti essere presente nelle foto, nei video e nella fotocamera per proteggerti dagli sconosciuti che usano le tue foto, trovare le immagini in cui sei presente ma non ti hanno taggato, comunicare alle persone con disabilità visive chi è presente nella foto o nel video e suggerire alle persone chi potrebbero voler taggare”, si legge nel messaggio che sta iniziando ad arrivare in questi giorni agli utenti italiani ed europei, per poi essere esteso al resto del mondo. Nei giorni scorsi il gruppo guidato da Mark Zuckerberg, in vista del nuovo regolamento europeo sulla privacy, ha annunciato novità su questo fronte, fra cui anche la limitazione del numero delle azioni che gli under15 possono compiere sulla piattaforma senza l’ok dei genitori. Fra queste anche il ritorno del riconoscimento facciale, a cui aveva rinunciato sei anni fa, dopo le preoccupazioni espresse da diversi gruppi di consumatori in materia di privacy. E sul quale pende negli Usa una class action di un gruppo di consumatori recentemente autorizzata da un giudice federale.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il computer-compositore che si ispira a Beethoven

 

 

 

“Quando parliamo di robot e intelligenza artificiale e del pericolo che un giorno il nostro lavoro lo faccia un algoritmo, c’è un limite considerato invalicabile: i robot faranno i nostri lavori ripetitivi e faticosi, ci rassicurano sempre, quelli creativi, dove è richiesta empatia, intelligenza emozionale, genialità, quelli no, sono al sicuro. Così si credeva, fino a quando sul palco del TED in corso a Vancouver è salito Pierre Barreau. E’ un giovane informatico e musicista residente in Lussemburgo che nel febbraio 2016, dopo aver visto il film Her, assieme a un pianista e a un direttore d’orchestra, ha creato AIVA, la prima intelligenza artificiale in grado di comporre musica classica, sinfonica e in generale colonne sonore. Tu imposti i parametri, e la musica è pronta.

Non è la prima volta che si parla di musica composta da un computer anzi, il primo esperimento risale al 1965, ma quello a cui stiamo assistendo è davvero un’altra cosa: ci sono in circolazione una dozzina di startup che si occupano a vario titolo di musica generativa, ovvero generata automaticamente, e che spesso integrano il lavoro degli esseri umani con arrangiamenti automatici o suonando strumenti mancanti. Con AIVA, però, entriamo in una dimensione nuova: quella in cui il computer non ha bisogno di noi. AIVA prima ha composto un brano per solo piano, niente male, poi un intero album, Genesi, per piano e orchestra; infine la musica per la festa nazionale del Lussemburgo; e qualche mese fa, la colonna sonora per uno dei videogame più popolari del mondo, Battle Royale di Fortnite.

Come ci riesce è presto detto: al software sono stati fatti conoscere, diciamo così, gli spartiti delle composizioni dei più grandi autori della storia, da Mozart a Beethoven fino a Bach. Ha studiato dai migliori, insomma, con una tecnica che si chiama “deep learning”. Da qui AIVA ha ricavato gli schemi ricorrenti di una composizione musical, e a quanto pare è in grado di replicarli adattandosi alla richiesta che viene fatta. L’idea, secondo quello che Barreau ha detto a Vancouver, è che ciascuno possa avere la propria colonna sonora, una serie di note che rispondono alla nostra storia e ai nostri gusti. Ma più in generale c’è un mercato florido, quello dei film e dei documentari a basso costo per esempio, ragion per cui AIVA dal maggio 2016 è stata iscritta come autore dalla società che gestisce il diritto d’autore in un paio di paesi (tipo la SIAE). Funzionerà? E se funzionasse davvero, che lavori sono al riparo dalla rivoluzione prossima ventura? “ La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Russia blocca l’accesso all’applicazione Telegram

 

 

“La corte Tagansky di Mosca ha accolto la richiesta dell’autorità delle telecomunicazioni della Russia, il Roskomnadzor, e ha bloccato l’accesso in Russia a Telegram per non aver fornito ai servizi di sicurezza (Fsb) le chiavi per decrittare i messaggi degli utenti. Lo riporta la Tass. Telegram potrà ricorrere in appello ma il blocco, stando alla legislazione russa, dovrebbe essere esecutivo. Il blocco sarà in vigore «fino a quando non saranno soddisfatte le richieste dell’Fsb», ha detto il giudice Yulia Smolina.Nel 2016, la Russia ha creato una legge per combattere il terrorismo, che impone a tutti i servizi di messaggistica di fornire alle autorità gli strumenti per decriptare la corrispondenza tra gli utenti. Telegram non ha rispettato la regolamentazione, perché contro la privacy dei suoi iscritti. Ma la Fsb ha replicato che avere le chiavi di accesso non viola la privacy in nessun modo poiché per ogni informazione prelevata serve comunque un permesso dal tribunale. Un’argomentazione senza senso secondo il legale di Telegram, Ramil Akhmetgaliev: «Come dire che ho la password della tua mail ma non controllo la sua mail. Ho solo la possibilità di controllarla». Intanto la società di Durov si prepara alla quotazione in borsa — ha già raccolto 850 milioni di dollari — e sta radunando investitori per creare un ecosistema basato su blockchain, simile ad Ethereum, chiamato Telegram Open Network, dove ci si potrà scambiare beni fisici e digitali.” La Repubblica 

Philippe Bertho

 

 

 

 

 

 

 

 

Siracusa, l’annuncio-choc del museo: papiri greci in vendita per autofinanziarsi

 

 

 

 

“Museo del papiro Corrado Basile di Siracusa ha messo in vendita 20 frammenti di papiri greci e demotici della propria collezione per autofinanziarsi ed evitare così la chiusura. I pezzi sono di “accertata provenienza, acquistati circa dieci anni fa e, per quanto di conoscenza, inediti, si legge nell’avviso. L’ente – racconta La Stampa – è una realtà unica al mondo, estensione naturale dell’Istituto internazionale del papiro fondato da Anna Di Natale e Corrado Basile, due nomi noti nel settore per il loro impegno nella ricerca papirologica, anche in collaborazione con Il Cairo. L’inusuale  annuncio non è passato inosservato ed ha scandalizzato molti studiosi e appassionati per la scelta dei due ricercatori di privarsi di rari reperti risalenti a 1500 anni fa in modo così plateale. “La notizia è apparsa in forma di pubblicità sulla pagina Facebook di un mio collega”, ha raccontato sul suo blog Roberta Mazza, curatrice del Museo di Manchester. Si pensava  a uno scherzo ma la direttrice del Museo siracusano Anna di Natale, contattata, ha risposto che Il Museo del papiro ha deciso di mettere in vendita alcuni papiri della propria collezione “per reperire risorse e realizzare altri progetti. Siamo obbligati, la Regione ci ha dimezzato di anno in anno i contributi”. “Vendiamo perché abbiamo bisogno di liquidità per andare avanti”, spiega Corrado Basile, precisando che la vendita non è intesa per privati ma solo per enti. “Siamo già in trattativa con università italiane e straniere – dice – che si sono dimostrate interessate alla nostra proposta”.

Nella tarda mattinata, però, l’annuncio è scomparso dalla home page del sito e dalla pagina Facebook. Immediata la levata di scudi di intellettuali e associazioni dopo il tam tam mediatico. “Speriamo sia solo una provocazione”, dice Sergio Cilea, responsabile del Fai di Siracusa. “La collezione di Basile – dice Cilea – va tutela nella sua integrità anche con l’intervento pubblico, fa salvaguardata perché si tratta di una silloge unica. Faremo il possibile per avere chiarimenti e difendere questa istituzione”. Il professor Basile contesta la decisione da parte della Regione di tagliare i fondi destinati all’istituzione nonostante le promesse legate alla valenza del museo stesso che collabora con studiosi e centri di ricerca di tutto il mondo.” 

D’altronde, il direttore del museo del papiro è abituato alle battaglie a difesa dell’istituzione da lui creata a Siracusa e “bistrattata da sempre dalla politica” come spesso commenta. Negli anni passati, Basile era sceso in campo contro la Regione accusata di aver dapprima promesso un intero ex convento per allestire il museo sull’isola di Ortigia e, successivamente, di aver concesso parte dei locali alla galleria regionale di palazzo Bellomo. Ed è infatti una convivenza difficile quella nelle sale dell’ex convento di Sant’Agostino dove hanno sede il museo del Papiro e alcuni locali del museo Bellomo dopo la decisione della Regione di restaurare il palazzo con 2 milioni e mezzo di euro per destinarlo a Basile e ai suoi papiri costretti in sale in affitto in via Teocrito. Tutelato da una legge ad hoc per la sua valenza scientifica e didattica, il Museo del Papiro è in parte allestito nelle nuove sale di via Nizza ma alcuni reperti e macchinari sono nei magazzini in attesa di spazi adeguati proprio per la condivisione dell’ex convento di Ortigia con il museo Bellomo qui ha dato vita al Sac: Sant’Agostino arte contemporanea.” La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Smartphone, scattare troppe foto ci fa perdere i ricordi

 

 

 

 

 

“UNA FESTA, una cena tra amici, una gita fuori porta: ogni volta che viviamo un momento di spensieratezza, si attiva l’istinto automatico di scattare una foto con lo smartphone e postarla sui social. Un gesto diventato abitudinario, che però potrebbe nascondere una grande insidia. Proprio l’attimo felice che vogliamo immortalare potrebbe essere cancellato dalla nostra memoria. Siamo così distratti dallo scatto perfetto che rischiamo di dimenticare perché e cosa stiamo immortalando. Ad affermarlo un nuovo studio del Dartmouth College, diretto da Emma Templeton e pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology.

·L’INDAGINE: TROPPO DISTRATTI PER RICORDARE

I ricercatori hanno preso alcune centinaia di partecipanti per un tour in una chiesa. Durante la visita, le persone sono state incoraggiate a prendere nota di quello che vedevano come la forma dell’edificio o l’aspetto degli ornamenti. Un gruppo ha avuto un iPod con fotocamera e ha scattato delle foto, mentre un altro gruppo non aveva nessun dispositivo. Una settimana dopo, è stato sottoposto al campione un questionario su ciò che avevano visto: chi non aveva scattato foto ha risposto correttamente a 7 domande su 10 a differenza degli altri che invece hanno risposto al massimo a 6 risposte giuste. Un segnale che la fotocamera ha rappresentato una causa di distrazione, hanno concluso i ricercatori. L’uso di uno smartphone influenza il funzionamento della memoria e cambia il modo in cui ricordiamo ciò che è accaduto nella nostra vita. È diventato una “gigantesca fonte di distrazione”. Rischiamo effettivamente di perdere quell’attimo unico nel momento in cui cerchiamo di immortalarlo per condividerlo sui social? “I meccanismi della memoria – spiega a Repubblica Michele Maisetti, direttore ASP (Associazione Italiana Psicologi) – si attivano in maniera più efficace nel momento in cui viviamo un evento che ci scatena delle emozioni. Più l’evento ci porta a vivere emozioni forti, sia negative che positive, maggiore sarà l’attivazione del circuito globale della memoria”. “Nel momento in cui la nostra attenzione si focalizza sul gesto di scattare una foto è come se togliessimo all’evento la possibilità di essere ricordato. È come se ‘delegassimo’ allo scatto il vissuto dell’emozione, la necessità di conservarla nella memoria. Investiamo le nostre emozioni nella foto e non nell’evento che stiamo vivendo”, chiosa Maisetti.” 

La Repubblica 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il caffè è nocivo, sulle confezioni obbligo di avvertenza”: sentenza in California scuote i produttori

 

 

 

 

“Non solo sui pacchetti di sigarette, fra poco anche sulle confezioni di caffè i consumatori potrebbero trovare l’avvertenza “contiene sostanze che possono nuocere alla salute e provocare anche il cancro”. In California un giudice ha stabilito l’obbligo d’etichetta pronunciando una sentenza che non mancherà di sollevare polemiche e contestazioni. Il problema è l’acrilamide, una sostanza potenzialmente canderogena che viene generata dalle alte temperature durante la torrefazione; il caffè sarebbe proprio una delle maggiori fonti di questa sostanza, secondo l’Nci, il National Cancer Institute, né si salverebbero patatine fritte e alcuni tipi di biscotti, craker, salatini e altri prodotti. Tant’è che la stessa Nci raccomanda di diminuire il tempo di cottura proprio per ridurre il contenuto di acrilamide nei cibi incriminati.

A questo proposito otto anni fa l’associazione non profit The Council for Education and Research on Toxics fece causa ad alcune grandi aziende produttrici di caffè per obbligarle ad apporre sulle confezioni una avvertenza sui potenziali rischi per il consumatore. Una battaglia favorita da una legge dello Stato della California, risalente al 1986, la cosiddetta Proposition 65 (Safe Drinking Water and Toxic Enforcement Act) che obbliga le aziende ad avvertire i consumatori sulla presenza di alti livelli di una sostanza considerata nociva.A seguito della causa, alcune aziende hanno peceduto il verdetto raggioungendo un accordo e soprattutto cedendo all’etichetta mentre altre hanno deciso di aspettare confidando nel fatto che ancora non esiste un fondamento scientifico che confermi la relazione fra acrilamide e tumore. L’associazione che raggruppa i produttori americani, la National Coffee Association, ha emesso un comunicato in cui sottolinea come la etichette possano fuorviare i consumatori in quanto “secondo le direttive guida dietetiche del governo americano il caffè fa parte di uno stile di vita salutare”. Silenzio ancora da Starbucks, istityuzione americana del caffè. La decisione del giudice californiano non è comunque definitiva: le aziende avranno tempo fino al 10 aprile per ricorrere in appello.” La Repubblica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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